“La donnina di marzapane” di Jennifer Johnston
Nel nuovo libro di Jennifer Johnson – traduzione di Francesca Romana Paci – Clara è una giovane viaggiatrice. Ha vissuto in diversi luoghi del mondo, lavorando come docente universitaria di quella letteratura irlandese moderna che tanto ama, e scrivendo pezzi di genere vario, proprio come fa quando la incontriamo. È tornata a casa, in Irlanda, a causa di gravi problemi di salute dai quali cerca, a fatica, di risollevarsi.
“Quello di cui ho veramente bisogno, ma non l’ho ancora detto al dottore, sono pillole da alzati e cammina, da vai in giro a divertirti, oggi è il primo giorno delle mie pillole da e adesso vivi. Ma tanto vale dirselo chiaro, lui non me le darebbe mai. Quando gliele chiedessi mi direbbe con quella sua voce suadente: «Ci vuole tempo, Clara. Devi avere pazienza. Con la calma si fa tutto.»” (pag. 107)
Vorrebbe capire se stessa e il mondo che la circonda. Vorrebbe trovare un modo nuovo di rapportarsi alla sua ‘nuova’ vita. Eppure, tutto sembra faticoso oltremisura, soprattutto ora, soprattutto là, in quella Dublino dalla quale si è allontanata spesso per poi tornare, ricca di nuove esperienze e diversa dalla persona che era l’ultima volta. È la Dublino del presente, ma anche dell’infanzia, la città in cui il tempo sembra essersi fermato, in cui sua madre continua a regalarle biscotti di marzapane, come fa con i figli dei suoi fratelli, e marmellate.
Donna particolare, sua madre.
“Non ho assolutamente nessuna reminiscenza di femminilità giovanile in lei, nessuna risata leggera o comportamento civettuolo, nessuna petulanza; sembrava che le sue passioni fossero sempre solo quelle dell’ordine, dell’armonia e di una sorta di lealtà familiare che ogni tanto mi fa venire voglia di vomitare.” (pag. 29)
Vorrebbe convincerla a vendere la sua casa e trasferirsi da lei, forse per colmare entrambe il silenzio col quale convivono. Clara, invece, resiste. Resiste per conservare la sua indipendenza e, forse, la sua identità:
“Non ho scelto io di vivere dietro l’angolo da dove abita mia madre, come faccio ora; questa piccola casa mi è stata lasciata in eredità da una zia e anche se non ci ho passato molto tempo, salvo negli ultimi mesi, non ho mai racimolato abbastanza coraggio per venderla. È diventata una specie di giacimento di pezzi e frammenti della mia vita – vestiti vecchi, libri della mia infanzia che non ho avuto il cuore di regalare a nipotini e nipotine, e altre svariate cose che ho collezionato nei miei viaggi – e al momento anche io sono diventata parte temporanea di questa congerie consolatoria.” (pag. 10)
Resistere e lottare: queste sembrano le parole d’ordine di un’esistenza disordinata e in cerca di futuro come quella di Clara, che a volte parla in modo confuso e che si reca spesso a Killiney Hill a riflettere, sull’orlo della scogliera. È proprio in uno di questi momenti che Laurence (Lar) [e il suo cane Pansy] le si avvicina, preoccupato all’idea che lei possa suicidarsi.
“Dannazione all’intruso, impiccione, invadente che ha interferito nella mia vita. Mi domando, io mi, io sembro davvero una potenziale suicida?
Questo è il mio cappotto migliore.
Non credo che potrei suicidarmi con indosso il mio cappotto migliore. Sconvolgerebbe mia madre.” (pag. 22)
Inizia, così, un’amicizia, fragile quanto i due protagonisti. Anche Laurence, infatti, è in Irlanda alla ricerca di se stesso, vittima di un’esistenza della quale conosce solo il dolore:
“Io sono me stesso. Io sono Laurence McGrane. Sono un insegnante di scuola. So chi sono. So che mia moglie e la mia bambina sono state assassinate. So che sto comportandomi in un modo scostante e irrazionale verso le persone che dicono di amarmi. So che un giorno dovrò ritornare alla normalità e ridiventare educato e sopportabile, ma non ancora. Io voglio che mi sia lecito urlare e bruciare e odiare, fino a che non ne avrà abbastanza della mia autoindulgenza. E per questo non ho una data. E così va’ al diavolo papà e piantala di cercare di guarirmi.” (pag. 36)
Questo romanzo è la storia di un’amicizia, che guarisce e ridona speranza, proprio come quella che Clara nutre nei confronti de La donnina di marzapane, il romanzo che vuole scrivere.
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