“La donna dei fiori di carta” di Donato Carrisi
Chi è Guzman? Chi sono io? E chi era l'uomo che fumava sul Titanic?
La donna dei fiori di carta, l’ultimo libro di Donato Carrisi, risponde a questi tre interrogativi e lo fa in una maniera antica, con uno stile semplice e chiaro, che ricorda più il racconto di un cantastorie che un romanzo: le vite dei personaggi, le vicende narrate, gli aneddoti, tutto è scritto con purezza e genuinità; le parole, sembra di ascoltarle, non di leggerle. Pagina dopo pagina, il breve volume di Carrisi scorre senza intoppi, come una storia ben raccontata, mentre si è seduti attorno a un focolare scoppiettante. Non ci sono intrecci letterari complessi o salti narrativi audaci: tutto segue un filo logico di base, lineare. È una tecnica, questa, che può piacere o no, ma certamente è perfetta per la trama di un libro noir.
Il giovane scrittore, infatti, specializzato in criminologia e vincitore del Premio Bancarella nel 2009, dopo essersi imposto sulla scena letteraria italiana con due thriller — Il suggeritore (Longanesi, 2009) e Il tribunale delle anime (Longanesi, 2011) —, è sbarcato in libreria con un volume che appartiene a un sottogenere del giallo che calza a pennello con la storia esposta: quella di Guzman, fumatore incallito, viaggiatore e straordinario narratore; e quella del dottor Jacob Roumann, medico di guerra che colleziona le ultime parole dei moribondi.
Il tutto parte da un campo di guerra sulle Dolomiti, dove un soldato italiano, fatto prigioniero dagli austriaci durante la Grande Guerra, non rivela il grado né tantomeno il nome. Così, il maggiore decide di farlo interrogare dal dottor Roumann, forse l’unico — a suo dire — in grado di scoprire l’identità dell’italiano, prima che, all’alba, si proceda con la fucilazione.
Roumann si avvicina al nemico e inizia a parlare con il prigioniero, che, però, avanza una richiesta alquanto strana: se il medico austriaco vuole conoscere la sua identità, dovrà ascoltare una storia; la storia di Guzman e dell’uomo che fumava sul Titanic.
Il medico accetta e, da quel momento, inizia un viaggio affascinante tra le parole del prigioniero italiano. Una narrazione leggera, velata dal fumo, che Guzman adora, essendo un amante del tabacco di qualità e dei sigari. Si alterneranno personaggi misteriosi ed enigmatici, come l’ermafrodita Madam Li o come l’affascinante signora Eva Mòlnar; si succederanno luoghi e immagini originali, come «i fumi di sapone nei cieli di Marsiglia» o le «montagne cantanti della Cina».
Roumann ascolterà ogni piccolo dettaglio con bramosia di sapere, non immaginando minimamente che la storia raccontata lo leghi, in modo particolare e sibillino, a quegli strani protagonisti.
Il racconto si mischia anche con la realtà. Appare l’uomo che fuma sul Titanic: un misterioso personaggio che, durante l’inabissamento, aspettava la morte assaporando il dolce sapore di un sigaro. Carrisi si è ispirato alla storia di Otto Feüerstein. Lo fa presente lui stesso in un’intervista a Panorama, in cui afferma: «Quando anni fa sono andato a vedere il film Titanic mi sono chiesto perché Cameron avesse dovuto inventarsi una storia d'amore invece di raccontare una delle tante storie vere delle persone a bordo. Facendo un po’ di ricerche ho quindi trovato il giallo di Otto Feüerstein. Ma se questa è una storia vera, il resto è immaginazione. Il libro è in bilico tra realtà e finzione».
Il ritmo della narrazione è blando, senza colpi di scena, ma è carico di spunti interessanti che incentivano a proseguirela lettura. C’è un voglia intensa di conoscere la risposta a quelle tre domande che spinge il lettore fino alla fine senza mai fermarsi.
La donna dei fiori di carta — come spiega anche lo stesso autore in una nota contenuta nel volume — è una costola del monologo musicale Il Fumo di Guzman, scritto con Vito Lo Re per la compagnia teatrale Gruppo Teatrale Vivarte, e per il quale è stato fra i vincitori del 49° Premio Vallecorsi per il Teatro.
Il libro, edito da Longanesi, è scritto magnificamente, con un linguaggio intimo e ammaliante. È una favola antica, fatta di parole vellutate e leggere, che non scade mai nel banale, ricca di suggestioni e immagini chimeriche che rapiscono il lettore e lo assorbono totalmente. Questa sensazione, tuttavia, parte piano. L’inizio, in effetti, è lento, poco attrattivo, ma, giunti a metà racconto, non si potrà più fare a meno d’immergersi nel “racconto” di Carrisi.
Nella stessa intervista citata sopra è riportata una domanda: «Donato Carrisi, come mai ha abbandonato il thriller?» «È stata una sfida – risponde lui – un giornalista mi ha chiesto 'saresti capace di applicare le stesse regole del thriller a una storia diversa?' e io l'ho fatto». Personalmente credo che Carrisi abbia fatto bene ad accettare il confronto.
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