“La donna che scriveva racconti” di Lucia Berlin, tra realismo e humour
Forse perché impegnata a viaggiare, lavorare, tirare su figli, Lucia Berlin, autrice di racconti nata in Alaska e vissuta un po’ dappertutto nel continente americano, non ha pubblicato molte delle sue storie in vita. Critici ed estimatori, tuttavia, la accostano alle maestre della narrativa breve americana, quali Grace Paley o Lydia Davies. È appena uscito per Bollati Boringhieri un volume che raccoglie tutti i suoi racconti, scritti tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso. Il titolo originale della raccolta è A Manual for Cleaning Women, cambiato in italiano in La donna che scriveva racconti (traduzione di Federica Aceto), con la perdita del doppio senso implicito nel titolo inglese, che indica sì un manuale per donne delle pulizie, ma allude probabilmente anche a un manuale per “pulire” le donne.
Anche per i lettori, il libro è un bell’antidoto, un’iniezione disintossicante, magari per chi vive in un ambiente chiuso e asfittico, è stufo delle ciarle insignificanti propalate tutti i giorni da radio e televisione, dall’ossessione dei soldi che non valgono più nulla e vanno risparmiati e non bastano mai. In questi racconti non c’è meschinità, non c’è nessuna economia. Sono quasi cinquecento pagine di libertà, divertimento, vita spericolata, dolore ed emozioni vissute e raccontate con freschezza e onestà. Leggerli, direi quasi, è come farsi una bella bevuta (considerando che il rapporto dei personaggi con l’alcool la fa da padrone nel libro, segnando praticamente tutti i racconti). Questa lettura per me è stata anche come un viaggio on the road, nell’America zeppa di avventure e tipi originali, sogno di chi in America non c’è mai stato; un viaggio giù fino al Texas, il Messico e il deserto, attraverso città dai nomi stranamente evocativi come Texarkana.
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I racconti di Lucia Berlin sono brevi perlopiù, e rielaborano pezzetti della vita dell’autrice, visti da angolazioni plurime, con la messa in rilievo ogni volta di aspetti diversi. I medesimi personaggi si rincorrono da una storia all’altra, a volte con nomi differenti. C’è l’io narrante, che ricorda direttamente l’autrice e ora si chiama ora Lucille, ora Carlotta; ci sono la madre, i nonni e lo zio preferito – tutti alcolisti – e il padre, ingegnere minerario sempre in viaggio, e poi la sorella Sally, che vive a Città del Messico.
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E ancora i tre mariti, i compagni, i quattro figli cresciuti da sola. In tutti i racconti, a eccezione di uno, che presenta diversi punti di vista, l’io narrante è sempre una donna che osserva o è in ascolto degli altri: parenti, malati, vicini di casa, vagabondi o colleghi di lavoro. In certe storie è una bambina solitaria, in altre un’adolescente ricca e privilegiata nel Cile poverissimo degli anni Cinquanta, in altre ancora in primo luogo nipote, sorella, cugina, amante, amica. I luoghi sono a volte quelli dell’infanzia, dall’Idaho al Montana giù fino a El Paso in Texas, o al Cile. Da adulta, la narratrice-protagonista si sposta invece soprattutto tra Oklahoma City e Città del Messico. Cambia spesso lavoro: fa la donna delle pulizie, l’insegnante di spagnolo o di scrittura creativa, la centralinista o l’infermiera in ospedale.
Nei racconti di Lucia Berlin, come s’è detto, c’è amore, compassione, humour, divertimento. All’inizio ci troviamo alle prese con un io narrante che frequenta solo drogherie per comprarsi una bottiglia, lavanderie a gettoni e alcolisti, e restiamo un po’ spiazzati, perché le situazioni della vita di tutti i giorni suscitano in lei riflessioni, associazioni d’idee da letterata. Da giovane madre, mentre aspetta di abortire in un ospedale, paragona al Laocoonte una paziente imprigionata dai tubi che le permettono di respirare; da segretaria in uno studio medico rimugina su Cechov e la sua tecnica narrativa. Si mescolano in ogni storia situazioni ordinarie, espressioni colloquiali e riferimenti letterari. Presto, in ogni modo, impariamo che la narratrice ama leggere e tradurre dallo spagnolo, e le capita anche di insegnare nelle scuole o nelle carceri. Ancor più, poi, ci spiazza come la narratrice riesca a conciliare – anche se con fatica – lavoro, cura dei figli e un forte dipendenza dall’alcool. Tutte le sue storie ci avvincono anche per questo strano equilibrismo, e una serie di situazioni divertenti appresso all’altra, con pazzi, seccatori, affascinanti messicani di passaggio o compagni di bevute nelle lavanderie a gettoni e nei parcheggi. Conversazioni improbabili in attesa che i panni si asciughino, abbracci compassionevoli sull’autobus con degli sconosciuti, momenti di relax a leggere sotto il pianoforte invece di fare le pulizie, con l’aspirapolvere acceso per confondere le idee alla padrona di casa.
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Piccole scene bastano a rendere il fascino di questi racconti, perché piccoli dettagli fanno un racconto, come spiega la narratrice della storia Punto di vista. Sono dettagli ripresi dalle esperienze dell’autrice, che, rielaborati, combinati, rendono interessanti situazioni o episodi altrimenti banali (la barretta di cioccolato portata al padre ormai demente in casa di cura, la camicia verde prestata alla sorella dagli occhi verdi, malata di cancro). Leggere i racconti uno di seguito all’altro è come leggere il romanzo della vita della Berlin, narrato in tutte le sue crudezze con un realismo addolcito dallo humour. Le storie si rincorrono, ed è un bel gioco ricostruire questa vita come con le tessere di un mosaico. Sorprende e ammira come le situazioni difficili siano prese con filosofia e coraggio, a dispetto delle morti in famiglia, della follia della madre, della solitudine e della malattia, dei figli da crescere da sola. La protagonista è sempre pronta a perdonare tutti, abbracciare i malati, baciare e curare il nonno sdentato e scontroso che pure l’aveva molestata da piccola. In una storia, la narratrice e protagonista (che pure si arrabatta per vivere) regala senza pensarci due volte una grossa somma a un pescatore messicano conosciuto in vacanza, per permettergli di riscattare la sua barca.
Tutto è generoso nella Donna che scriveva racconti di Lucia Berlin: le storie come la scrittura franca, diretta, a volte lirica, nelle descrizioni dei ricordi d’infanzia e di amori trascorsi.
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