"La divisione della gioia" di Italo Testa
Per contestualizzare quest’opera di Italo Testa bisogna innanzitutto evidenziare i due riferimenti esplicitati nel libro, il primo addirittura nel titolo, il secondo emerge dal corpus dell’opera e da una citazione che apre la seconda sezione di questo testo tripartito.
La divisione della gioia è un chiaro riferimento ai Joy Division, gruppo nato nel ’77 a Londra, che, a sua volta prende il titolo dal libro "The house of dolls" di Ka-Tzetnik 135633 del 1955. Joy Division era la denominazione delle baracche femminili dei campi di concentramento nazisti, dove le prigioniere erano utilizzate come prostitute dai soldati tedeschi e dalle SS. Inoltre nei ringraziamenti c’è una diretta citazione di “Days of the Lord” dei Joy Division. Invece “I was more interested in the sunlight of the buildings and on the figures than any symbolism” è una citazione tratta da un’intervista ad Edward Hopper, quello stesso pittore americano del primo ‘900 che sosteneva di dipingere non quello che vedeva, ma ciò che provava.
1 Il non luogo qualunque.
Molti dei luoghi scelti come oggetto di rappresentazione e come sfondo dell’azione rappresentata, possono certamente rientrare nella definizione di non luogo di Marc Augè: strade, stazioni di treno, crocevia, paesaggi della periferia industriale, tutti luoghi caratterizzati dalla precarietà dello stare, dalla crudezza di essere un luogo qualunque ed il luogo di ciascuno, al contempo. Persino le stanze dove la gioia si divide in un rapporto sono significative solo in relazione ai sentimenti che sembrano spargersi nello spazio metafisico dell’interiorità di due voci, una che incede, l’altra che contro canta in silenzio. I luoghi fisici sono molto simili a quelli ritratti da Hopper, ed il sentire prevale su ciò che è, senza divenire un paesaggio stato d’animo grazie alla precisione del ritmo, alla nitidezza del lessico, alla prospettiva che rende anche il fango o la crepa di una brocca un fotogramma dell’identità del poeta, panicamente disposto nelle cose.
2 Luce d’ailanto.
La ricorrenza della parola luce è un punto fermo nel corpus dell’opera: presente nelle sue svariate forme d’ombra, chiaroscuro ed abbaglio in ogni poesia è un elemento che dà il ritmo, come chiave di accensione di ogni frammento, e collante di senso in tutte le rifrazioni di colore. E l’ailanto è presente due volte nel testo, ognuna un simbolo diverso. Insidia germinante nascosta sui ciglioni, allegoria delle braccia di una donna che avvinghia. Il ritmo della narrazione – come il Canzoniere di Petrarca anche questa è una narrazione in versi, per rimandi intertestuali tra le sezioni e la presenza di una storia narrata non in forma lineare ma neanche puramente lirica – è a fiato corto, solo segni di interpunzione deboli e assonanze, allitterazioni, pochissime rime (la rima può essere usata per dare compiutezza ad un colon). L’impressione è quella di uno scorrere non unitario che sfocia nella terza parte, intitolata delta (di rami, confluenze e strade).
3 Voci divise.
La narrazione alla quale ho accennato è la narrazione di un intreccio di due solitudini incomplete, mai del tutto complementari, che non si contengono mai l’una con l’altra. Ad esempio i risvegli nello stesso letto sono sempre carichi di una divisione analitica di gesti che si accumulano, e le atmosfere sospese si reificano nella percezione di un lettore che prova a leggere con la propria voce questo controcanto sordo. Ad ogni modo la divisione dei gesti, dei sentimenti, delle paure, della materia dei giorni si aggrega dando un testo unitario nella propria scissione. Penso che una frase detta riguardo a Hopper possa valere in poesia anche per Italo Testa: “ci ha insegnato che l'immagine è una realtà senza resti e la realtà un divenire senza centro.”
(P. Balmas - Intervista)
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