La distopia di Orso Tosco è un mondo senza parola: “Aspettando i Naufraghi”
Provate a immaginare di vivere aspettando la morte, non come state facendo ora che avete sì la certezza di morire, a un certo punto, ma non ve ne curate. No, provate a immaginare di vivere sapendo che la vostra morte è prossima, meglio ancora: provate a immaginare di vivere con la consapevolezza che state per essere uccisi; non subito ma presto, un giorno o un’ora, una settimana o un minuto, non potete saperlo ma è sicuro che Loro, i Naufraghi, stanno arrivando… e non avranno pietà. Cosa fareste? Come scegliereste di vivere, o di morire?
Alcuni, forse, darebbero una festa di quelle sfrenate, animalesche, senza regole, con una quantità esagerata di droga e alcolici, e poi? E poi questi “alcuni”, nel bel mezzo della festa, quando la musica si ferma e non ci sono dubbi che i Naufraghi sono vicini, si metterebbero attorno a un tavolo, ciascuno con una pistola carica in mano e puntata alla propria tempia, e premerebbero il grilletto, suicidandosi. Voi lo fareste? Sareste tra questi “alcuni”? Massimo no, il protagonista di Aspettando i Naufraghi – romanzo d’esordio di Orso Tosco pubblicato da minimum fax nella collana “Nichel” (con una copertina splendida) – decide di sopravvivere, ancora un po’ almeno, e dopo aver partecipato insieme agli amici all’Ultima festa, a differenza di tutti gli altri non preme il grilletto. Inizia qui la storia della fine, con Massimo che ruba la macchina di un amico suicida (ma stai rubando se non c’è più nessuno che possa reclamarne il possesso?) e si dirige all’hospice San Giuda dove suo padre sta aspettando di morire da molto tempo, di una morte diversa, più lenta e logorante o forse, chissà, arriveranno prima i Naufraghi anche da lui.
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Orso Tosco pone le basi della narrazione sull’unica contraddizione che siamo tutti in grado di accettare senza porci domande, cioè la spinta alla vita di chi è prossimo alla morte per malattia. Sono proprio i malati terminali dell’hospice San Giuda il centro nevralgico di Aspettando i Naufraghi, gli unici che hanno imparato a lottare scegliendo di sopravvivere un’ora alla volta nonostante tutto, gli unici che hanno accettato la morte prima ancora che arrivasse sotto le Loro sembianze. Non poteva esserci scelta migliore, forse, per mettere in scena il teatro tragicomico dell’umanità in tutta la sua fragile tenacia, perché se è vero che si può parlare di romanzo distopico è anche vero che la distopia è più la cornice che il quadro. E a me, fin dall’inizio, è sembrato di leggere un potente inno alla vita:
«[…] Il punto è: come facciamo a restare vivi un po’ più a lungo? Oppure guarda. Lo vedi?», chiede Guido, indicando lo strapiombo davanti a loro. «Spazio per buttarsi di sotto ce n’è. Però, invece, stiamo qua. A cercare benzina. A mangiare. A portarci in giro le armi, ad aver paura. […] Se vogliamo provare a restare vivi, almeno un po’ di più, dobbiamo iniziare da questo: è tutto finito».
Chi siano i Naufraghi non è dato saperlo con precisione, Tosco ci dà solo qualche accenno sufficiente a capire come agiscono ma non abbastanza da capire perché, e se siete di quelli che vorrebbero una risposta precisa a tutte le domande possibili mettetevi il cuore in pace perché non ci sono risposte, c’è un prima, c’è sempre un prima, ma a noi non è dato di sapere come fosse e come sia diventato l’Adesso. Una cosa però ci dice l’autore e lo fa con una scrittura talmente affilata che sarebbe un peccato parafrasarlo:
«Sin dall’inizio, loro hanno deciso di non darsi nessun nome, perché ogni nome è una memoria, e ogni memoria è imprecisa, confutabile. Le azioni e i fatti, invece, sono precisi. E dato che la lettura e l’analisi di ciò che accade sono sempre rischiose, ambigue, loro hanno mostrato una via diversa, semplice e risolutiva. Il commento delle azioni può avvenire soltanto attraverso nuove azioni, l’unica analisi accettabile consiste nel proseguire o contraddire le azioni precedenti».
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Aspettando i Naufraghi è quindi un inno alla vita e anche, forse, un inno della parola come mediatrice di relazioni tra esseri umani che rischiano di abbruttirsi dietro all’immediatezza del gesto.
Per la prima foto, copyright: Seb.
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