La disparità di genere nei libri scolastici per l’infanzia
Esiste una disparità di genere che si annida, velatamente, tra le pagine colorate dei libri scolastici per l’infanzia. È una Storia a cui si nega una mente e un cuore femminili quella raccontata ai bambini, una Storia che se avesse le sembianze umane, oggi, avrebbe tratti somatici maschili e una voce ostinata nel narrare una realtà filtrata dalle ispirazioni fiabesche e inconciliabile con i cambiamenti culturali e sociali sopravvenuti.
Cosa vuoi fare da grande? Da bambina abbassavo lo sguardo e restavo in silenzio di fronte a questa domanda, cercando nel mio dizionario ancora “grezzo” la parola giusta da dire. La regina, rispondevo spesso, perché in fondo le donne adulte che si muovevano nelle storie a me narrate erano quasi sempre regnanti, principesse, fate o dolci figure materne, dedite alla casa e alla cura dei figli.
È un’immagine che risale agli inizi degli anni Novanta, ma non così lontana da quella che nel 2018 circola tra i banchi delle scuole primarie.
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E proprio a tale proposito, è significativa un’indagine condotta nel 2010 da Irene Biemmi, esperta di Pedagogia di genere e pari opportunità.La sua analisi, che si è concentrata su un campione di dieci testi editi tra il 1998 e il 2002 da alcune delle maggiori case editrici italiane e destinati alle quarte classi della scuola primaria, ha rilevato alcuni dati che hanno molto a che fare con la mia risposta di bambina. Tra questi, due appaiono particolarmente indicativi, ossia una sproporzione numerica nella rappresentazione delle figure maschili e femminili (un rapporto di 16 maschi per 10 femmine) e uno squilibrio nei ruoli professionali definiti adeguati ai due sessi, con un rapporto di 50 tipologie per i bambini contro i 15 per le loro compagne. E tra quest’ultime spiccano l’insegnante, la principessa e la casalinga.
Non si tratta di risultati irrilevanti, anzi appaiono ancora più scoraggianti se li si considera nel quadrodel progettoPolite (Pari opportunità nei libri di testo),un Progetto europeo di autoregolamentazione per l’editoriache dal 1998 incoraggia un processo di ripensamento dei testi scolastici per l’infanzia, invitando gli operatori del settore a non relegare le donne a ruoli marginali, ma a renderle protagoniste del sapere storico, scientifico, culturale e politico, al pari degli uomini. E per far sì che ciò avvenga ha ideato un “bollino di qualità” per le pubblicazioni rispettose delle Linee guida in materia. Peccato che il progetto non abbia anche previsto la creazione di un Ente terzo adibito al suo rilascio, lasciandone invece la responsabilità agli editori stessi. Il risultato? Una presenza elevata di bollini di facciata che nei contenuti sono lontani dalla piena espressione del concetto di parità di genere.
Eppure è innegabile che l’educazione al rispetto delle differenze si sviluppi anche nelle aule delle scuole: è lì che i bambini, privi di pregiudizi e schemi mentali, gettano le basi della loro identità su cui, inevitabilmente, restano impresse le impronte di coloro che li aiutano nella loro costruzione di futuri adulti. E le bambine e i bambini di oggi sono le donne e gli uomini che domani si ritroveranno a confrontarsi, relazionarsi e a essere pezzi di una società in continuo movimento che non può – e non deve – restare ancorata a vecchi stereotipi.
Ma cosa è cambiato dal 2010 a oggi? Sicuramente dei passi in avanti sono stati fatti grazie ai tentativi di sdoganare la costante associazione delle figure femminili a principesse fragili, vittime della loro ingenuità, che si affidano completamente a principi e cavalieri dal ciuffo biondo e il cavallo bianco. Da qualche anno, infatti, il mondo dell’editoria si è mostrato sensibile al tema anche nei prodotti destinati ai più piccoli. Ne sono un esempio i libri Mi piace Spiderman... e allora? di Giorgia Vezzoli e Storie della buonanotte per bambine ribelli di Francesca Cavallo ed Elena Favilli che diffondono storie di figure libere dai pregiudizi sessisti e dalla rigida differenziazione di genere.
Invece da parte dell’editoria scolastica per l’infanzia persiste una difficoltà a riconoscersi un ruolo fondamentale nella lotta per l’uguaglianza dei sessi e un’attitudine, seppur più smussata rispetto agli anni passati,alla rappresentazione di un mondo dicotomico in cui le capacità intellettive, artistiche, sportive appaiono ancora come proprietà esclusiva dell’universo maschile.
La strada quindi è ancora lunga per far sì che nelle scuole la Storia raccontata ai bambini non appaia più mutilata della sua parte femminile. E ciò è possibile solo restituendo una voce a tutte le donne che hanno lottato, spesso a prezzo della loro stessa vita, contro un sistema (culturale, sociale, mafioso) o un regime, in nome di un’idea, della libertà, di un diritto. A loro la manualistica scolastica è chiamata a restituire dignità, riconoscendo loro il contributo apportato all’evoluzione della società e dell’umanità, al pari degli uomini.
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Perché fuori dalle mura domestiche e dei castelli un mondo femminile è sempre esistito, ma è rimasto invisibile, nascosto tra le pieghe di una narrazione che lo ha taciuto o demonizzato, enfatizzando le conseguenze negative a cui è andato incontro nel momento in cui non ha aderito ai modelli imposti dalla società.
Ma fino a quando sui banchi delle scuole primarie si leggeranno pagine di libri abitateprevalentemente dafigure ispirate alla tradizione fiabesca, la lotta alla disparità di genere avrà sempre un pezzo mancante. E la Storia continuerà a essere fatta solo da uomini coraggiosi e valorosi, rinnegando quella realtà in cui le donnepossono essere portatrici di cambiamenti e gli uomini trasformarsi, a volte, in carnefici.
Copyright delle foto in ordine di inserimento: rawpixel.com e Mike Fox.
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