La delusione de “Il sangue dei codardi” di Jean-Yves Delitte
La prima impressione che si trae da un’attenta lettura dei due volumi che, ad ora, compongono la versione italiana de Il sangue dei codardi a firma di Jean-Yves Delitte, uscito in Italia nel corso dell’ultimo anno per i tipi di Mondadori Historica grazie alla traduzione di Marco Cedric Farinelli, è quella di un’operazione riuscita solo in parte.
L’indiscutibile talento narrativo dell’autore belga, solitamente evidenziato nel calcolare con grande precisione gli incastri delle svolte del racconto, non appare in questo caso supportato da un materiale narrativo all’altezza.
Cerchiamo di capire perché. Sicuramente non è una novità il tentativo di collocare la figura di un detective ante-litteram in un contesto storico ricostruito con precisione ed efficacia (ce lo ha ricordato anche la recente messa in onda de Il nome della rosa, più per i rimandi al libro che per i risultati effettivamente raggiunti dalla serie), e tanto meno lo è per la letteratura a fumetti francofona, da sempre molto a proprio agio in accurate rappresentazioni della storia. Se però in altre opere dello stesso autore (ricordo ad esempio lo straordinario Belèm) si respiravano afflati letterari dai rimandi altissimi (tra Conrad, London, addirittura lo stesso Hesse di Viaggio in India), qui si privilegia appunto un racconto di genere, inevitabilmente più vicino al romanzo d’appendice, mai compianto abbastanza ma di sicuro meno adatto a svolte drammaturgiche dal tono epico.
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In questi primi due tomi (Le Indie Orientali e Alla corte di Inghilterra), la cui conclusione lascia presagire un seguito, il maggiore dell’esercito Arthur J. Joyce (ma perché?!) Byron Pike, distaccato alla regia polizia inglese del XVII secolo, si trova a dover affrontare spinosi casi di omicidi e ricatti, siano essi legati alla spartizione degli affari nelle colonie d’oltreoceano, o pericolosi casi di tradimento su suolo inglese.
La critica più concreta che si può muovere a Delitte da questo punto di vista è proprio la grave mancanza di un Narratore (non a caso riportato qui con l’iniziale maiuscola), con una sinossi che pare invece voler condurre il lettore verso soluzioni di facile intuizione, come trasportato dagli eventi anziché attivo demiurgo – insieme all’ideatore – degli stessi.
Pur tralasciando la – non necessaria – mancanza di profondità nell’analisi della psicologia dei personaggi (meglio comunque il primo episodio in tal caso), ciò che delude maggiormente è la prevedibilità nello svolgimento dell’intreccio, che dovrebbe invece rappresentare un punto di forza nella letteratura di genere, soprattutto nell’universo della narrativa grafica, in riferimento ai numerosi espedienti nella costruzione dello storyboard che avrebbero meritato miglior impiego. Invece purtroppo è tutto un dispiegarsi di scelte note, che non lasciano troppo spazio all’interpretazione del lettore che si trova anzi costretto a inseguire colpi di scena piuttosto banali quando non esageratamente campati per aria, accompagnati da un tratto grafico fin ridondante nella precisione con cui delinea i profili dei maestosi velieri (Delitte rimane pur sempre un maestro nelle rappresentazioni marinaresche, pittore ufficiale della marina belga), ma poco personale quando si tratta di dare spessore e credibilità a protagonisti e comprimari. Il clima sordido che investe le vicende di un periodo tormentato per la storia anglosassone (i riferimenti reali non sono casuali, tra tentativi di colpi di stato e incendi che devastano Londra) si riflette in un buon uso dei colori e in alcune espressioni facciali, molto più eloquenti di certi dialoghi di maniera.
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In definitiva, i capitoli disponibili de Il sangue dei codardi, opera dal respiro maestoso che prevede di aprire nuove vicende investigative nel futuro dei suoi personaggi, non regge il passo con i modelli narrativi cui aspira, cioè quelli delle produzioni televisive contemporanee (à la True Detective, per intenderci), delle quali si percepisce un’eredità disattesa, come un faticoso omaggio spento.
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