“La cortina di ferro” di Anne Applebaum, un viaggio nel tempo per incontrare l'ex Impero sovietico
È uscito in Italia lo scorso maggio per Mondadori il saggio di Anne Applebaum La cortina di ferro, nella versione tradotta da Massimo Parizzi. Un libro che conduce il lettore negli anni dell'ex Impero sovietico, della Germania divisa tra occidente e "anti-occidente", quando il Muro di Berlino fu eretto. Il 1961, una data che ha segnato un grande cambiamento.
La Applebaum paragona più volte il regime sovietico a quello nazista. I numerosi punti in comune tra il “tallone sovietico” e quello nazifascista la inducono a ritenere che sconfitto il secondo sia subentrato il primo che però prontamente venne isolato e nascosto al mondo intero dietro una “cortina di ferro” che va considerata tale ben oltre il senso metaforico.
Se da una parte le origini ebraiche della Applebaum sembrano non tanto influenzare quanto indirizzare le sue indagini verso una ricerca storica che avvalori le sue convinzioni, dall'altro tutto ciò lo fa con una tale dovizia di particolari e con un coinvolgimento tale che anche il lettore più scettico o più in contraddizione con le sue idee non può non restarne affascinato. Si tratta naturalmente di un interesse storico, se così lo si vuol definire. Quando si analizzano fatti, eventi accaduti in passato è sempre meglio quantomeno cercare di conoscere e analizzare più interpretazioni possibili, poi viene da sé che ognuno resta libero di pensarla come giusto ritiene. Nel libro della Applebaum l'analisi del dualismo tra capitalismo/consumismo e comunismo/anticonsumismo si somma a quella sulla "pulizia etnica" compiuta dalle autorità sovietiche ai danni di tedeschi, polacchi, ucraini, ungheresi paragonandola più volte a quella compiuta dal regime nazista contro il popolo ebreo. In realtà, quando si parla di genocidi e massacri, sono tanti i casi che possono essere citati come esempio, purtroppo.
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In La cortina di ferro Anne Applebaum analizza nei minimi dettagli quella che definisce un'opera di “disarticolazione della classe politica e della società civile” compiuta nella Germania orientale in Iugoslavia, Albania, Romania, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Cecoslovacchia per agevolare il “processo di stalinizzazione”. Operazione che fu resa possibile grazie anche all'implacabile “lavoro” svolto dalla polizia segreta il cui compito precipuo era individuare e soffocare ogni forma di opposizione o dissenso.
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Agli inizi degli anni Cinquanta il culto di Stalin era dilagante, il suo stesso nome era venerato in URSS come “simbolo della vittoria del consumismo”, l'Europa dell'Est venne letteralmente e materialmente separata dall'Occidente da muri, recinzioni e filo spinato. L'idea comune era che il Muro di Berlino dovesse restare per sempre.
I metodi impiegati per ottenere il “consenso” purtroppo sono più o meno sempre gli stessi di tutti i regimi: violenza, controllo delle informazioni, pulizia etnica. Le autorità sovietiche, in collaborazione con i partiti comunisti locali, espellevano da città e paesi tutti i tedeschi, polacchi, ucraini, ungheresi... e li portavano, a bordo di camion o treni, in campi profughi lontani centinaia di chilometri. Complici di tutto ciò furono, almeno inizialmente e in qualche misura Stati Uniti e Gran Bretagna. La pulizia etnica a danno dei tedeschi, secondo quanto riportato dall'autrice, sarebbe stata sancita dal Trattato di Potsdam.
Il primo ad adottare con entusiasmo il termine “totalitarismo” fu Benito Mussolini, dandone anche, come ricorda la Applebaum nel testo, la migliore definizione mai coniata: «Tutto nello Stato, niente fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato».
Per l'autrice l'idea stessa di “controllo totale” voluta dal totalitarismo oggi può sembrare addirittura grottesca, ma per capire la storia del XX secolo bisogna indagare per comprendere come, dove e perché il totalitarismo ha funzionato, sia in teoria che in pratica.
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Il saggio della Applebaum anche se si rivela fin da subito una lettura impegnativa, per la mole del testo e per il suo contenuto, non fa mai pentire il lettore della sua scelta di proseguire. Un libro, La cortina di ferro, che crea una “breccia” nel Muro di Berlino quando ancora non si immaginava neanche potesse essere un giorno abbattuto, che aiuta a meglio conoscere e forse comprendere le dinamiche interne e le conseguenze dei totalitarismi del XX secolo che hanno condizionato e a volte determinato i destini di numerosi popoli europei.
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