La commedia umana e il caso della Comédie Italienne
È per protesta, soltanto per protesta che il presidente della Comédie Italienne di Parigi, un’istituzione unica nel suo genere voluta da Strehler e Calvino, ha provato a sfondare i cancelli dell’Eliseo con la sua automobile. Protestava contro i tagli alla Comédie e alla cultura, contro un modo di fare che di francese, davvero, ha molto poco. E, infatti, la Francia ha deciso di non incriminarlo, ma di riprendere in esame il caso dell’istituzione parigina che diffonde il teatro italiano oltralpe.
Ora, la notizia in sé può non suscitare scalpore, ma se pensiamo ai tagli alla cultura che l’Italia ha messo in atto in questi anni e alle tante proteste che hanno vibrato nel nostro Paese, e se riflettiamo sugli esiti di queste fiammate, beh, essi sono ben lontani dall’aver sortito qualche effetto sulle autorità politiche italiane: retorica e soltanto retorica.
In Francia, invece, gli investimenti nel settore della cultura sono considerati il basamento della crescita sistematica del tasso di civiltà e dello sviluppo di socialità. I teatri tendono a non chiudere perché sono frequentati, e restano luoghi per aggregare, includere, offrire competenze: in una parola socializzare. Questo manca in Italia, un’idea socializzatrice dell’offerta culturale che stimoli la produzione, la fruizione, l’educazione al “consumo” culturale.
Quindi, non c’è da stupirsi se in meno di ventiquattr’ore l’Eliseo ha risposto al presidente della Comédie Italienne, quando in Italia aspettiamo da decenni di vedere risollevate le sorti della cultura nazionale non televisiva, di vedere approvata una legge che tuteli i tanti operatori dello spettacolo, che assicuri loro un adeguato sussidio di disoccupazione, una pensione, servizi. Eppure l’Italia è la terra degli Arlecchino della politica!
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Diventa allora paradossale, nel senso che ci rivela la nostra debolezza, questo episodio parigino, allorquando la fiacchezza della nostra proposta culturale è ormai conclamata. Altrove, ma non da noi, anche il Pil prodotto dagl’investimenti pubblici e privati in cultura cresce seminando idee di futuro, recuperando pezzi del passato, sempre passando attraverso certezze e garanzie di reddito per chi fa un mestiere discontinuo e flessibile per definizione. Qui, nella Penisola, l’artista è ancora considerato un guitto che s’accontenta di raccogliere spiccioli nel cappello, un ornamento di strada, un pazzo che diverte e nulla più. Francamente non si può andare avanti così, anche perché questa triste commedia umana sta affannando e affamando schiere di giovani lavoratori che presto o tardi, se non s’inverte la rotta, andranno via verso altri teatri, altre piazze, altri palcoscenici meno duri e più frequentati.
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