La commedia tutta terrestre di Niccolò Machiavelli – «L’asino»
Niccolò Machiavelli fu autore di opere quali il Principe, i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, la Mandragola; eppure ci sono scritti meno conosciuti, ma non per questo meno importanti, che meriterebbero una lettura. Tra questi va annoverato l’Asino, un poemetto incompiuto in terza rima suddiviso in otto capitoli.
La datazione non è sicura. Alcuni noti studiosi dividono la stesura in due periodi: il 1512, l’anno del ritorno dei Medici e della caduta della Repubblica di Firenze, e il 1517, uno degli anni dell’esilio che portò il quondam Segretario lontano dalla scena politica fiorentina.
Il primo capitolo si apre con un’anti-invocazione.
Non cerco ch’Elicona altr’acqua versi,
e Febo posi l’arco e la faretra
e con la lira accompagni i miei versi;
sì perché questa grazia non s’impetra
in questi tempi, sì perch’io son certo
ch’al suon d’un raglio non bisogna cetra.
Il poeta si accinge a raccontare una disavventura vissuta sotto spoglie asinine e, per questo motivo, ben comprende che il suono della lira di Febo sarebbe inopportuno perché a cantare è un asino.
Prima però di narrare la sua personale odissea, il poeta racconta una breve novella.
Fu, e non sono ancora al tutto spenti
i suoi consorti, un certo giovanetto
pure in Firenze infra l' antiche genti.
A costui venne crescendo un difetto:
ch' in ogni luogo per la via correva,
e d'ogni tempo, senza alcun rispetto.
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Il padre di questo povero ragazzo cerca di guarirlo in tutti i modi possibili, ricorrendo anche ad un «cerretano», ma inutilmente: il figlio non può affatto venir meno alla sua natura.
Perché la mente nostra, sempre intesa
dietro al suo natural, non ci consente
contr’ abito, o natura sua difesa.
Questa novella serve a sottolineare che nel poeta già erano presenti quelle caratteristiche proprie dell’asino: la testardaggine e il «morder questo e quello». La maledizione che lo ha colpito ha resa manifesta la sua natura asinina. Per Niccolò Machiavelli l’uomo non può fare a meno di seguire la propria natura. Ciò ricorda un’altra ben nota novella contenuta nel Decamerondi Giovanni Boccaccio: Filippo Balducci, per far sì che il figlio scappi dagli umani appetiti, lo porta con sé a vivere fuori dalla città ma, ritornatovi un giorno per affari, comprende che il figlio non è guarito, anzi, sente di più l’attrazione verso le donne. Non si può scappare dai propri istinti naturali.
Con l’Asino Niccolò Machiavelli vuole ridare una fresca dignità al corpo e alla natura umana; come fece, anni prima, Giovanni Boccaccio.
Nel secondo capitolo, il poeta è smarrito in una “selva oscura”.
In questo tempo, allor che si divide
il giorno da la notte, io mi trovai
in un luogo aspro quanto mai si vide.
Io non vi so ben dir com’io v’entrai,
né so ben la cagion, perch’io cascassi
là dove al tutto libertà lasciai.
Io non poteva muover i miei passi
pel timore grande e per la notte oscura,
ch’io non vedeva punto ov’io m’andassi.
Se la Commedia di Dante Alighieri – dalla quale Machiavelli ricalca pedissequamente dei versi – è un viaggio ascensionale, verso la mente di Dio, l’Asino inveceè un viaggio tutto terrestre.
Perso in un «luogo aspro», il poeta non sa il da farsi. In suo aiuto accorre una giovane donna - che poi si scoprirà essere una delle serve della terribile maga Circe - seguita da uno strano corteo di animali.
sopragiunse ella, e con modo astuto
e sogghignando: – Buona sera - disse.
E fu tanto domestico il saluto,
con tanta grazia, con quanta avria fatto,
se mille volte m’avesse veduto.
Io mi rassicurai tutto a quello atto;
e tanto più chiamandomi per nome
nel salutar che fece il primo tratto.
E di poi, sogghignando, disse: - Or come,
dimmi, sei tu cascato in questa valle
da nullo abitator colte né dome? –
Leggendo di questa giovane «piena di beltade» subito balza alla mente la figura di Virgilio e di Matelda e di Beatrice; ma, a differenza di questi, la serva della maga Circe si presenta nella sua squisita umanità, sottolineata dal «domestico saluto» e dal suo beffardo sogghignare. Non ha la gravità degli accompagnatori di Dante, non possiede la loro stessa severità: è una donna in carne ed ossa, spogliata da qualsiasi alone di sacralità e di divinità. Perché l’Asino non è altro che una commedia tutta terrestre.
La giovane donna spiega allo sventurato poeta che in quei luoghi esercita la propria potestà la terribile maga Circe; questa, disprezzata dagli uomini, ha deciso di vendicarsi lanciando una terribile maledizione: chiunque lei guardi verrà trasformato in animale. Ecco allora spiegato quello strano corteo che segue la serva: sono tutti uomini trasformati dalla maledizione! Dopo aver chiarito la situazione, la serva decide di portare con sé il poeta al castello della sua padrona.
Ma prima che si mostrin queste stelle
liete verso di te, gir ti conviene
cercando il mondo sotto nuova pelle;
ché quella Provvidenza che mantiene
l’umana spezie, vuol che tu sostenga
questo disagio per tuo maggior bene.
[…].
E lo star meco alquanto t’è permesso,
acciò del luogo esperienza porti,
e degli abitator che stanno in esso.
Adunque fa che tu non sconforti;
ma prendi francamente questo peso
sopra gli omeri tuoi solidi e forti;
ch’ancor ti gioverà d’averlo preso. –
Il disagio che sta vivendo il poeta, l’essersi perso in un luogo maledetto, l’essere in pericolo a causa di Circe: tutto è per il suo bene. Potrebbe essere questo un riferimento che Machiavelli fa alla triste situazione che stava vivendo: il ritorno dei Medici nella città di Firenze gli aveva portato via tutti gli incarichi che occupò durante il periodo repubblicano. Questo rovesciamento della fortuna, però, è per il suo «maggior bene» perché, sotto nuova forma, deve necessariamente fare esperienza al castello di Circe: da questa disavventura ne uscirà cambiato, dalla sfortuna potrà trarne una possibilità di crescita.
Anche l’Asino, come la Commedia, è un viaggio di crescita verso la verità che, questa volta, non è prerogativa di Dio. Il bene e il vero per Macchiavelli sono possibili anche su questa terra, è possibile trovarli impegnandoci nelle faccende umane.
Allora la mia donna aprì le braccia,
e con un bel sembiante, tutta lieta,
mi baciò dieci volte e più la faccia;
[…].
E detto questo, una sua tovaglietta
apparecchiò su un certo desco al fuoco.
Poi trasse d’uno armario una cassetta,
dentrovi pane, bicchieri, e coltella,
un pollo, un’insalata acconcia e netta,
[…].
Poi, come avemmo cenato, spogliossi,
e dentro a letto me fe’ seco entrare,
come suo amante o suo marito io fossi.
Ancora una volta Machiavelli sottolinea la differenza che corre tra la serva di Circe e il Virgilio dantesco; l’Asino è il trionfo del corpo umano, abbracciato nella sua totalità, accettato senza riserve.
Dopo aver passato dei momenti d’amore con la sua salvatrice nella sua camera, il poeta si perde in alcuni ragionamenti sulla fortuna. Siamo nel quinto capitolo.
La virtù fa le region tranquille:
e da tranquillità poi ne risolta
l’ozio: e l’ozio arde i paesi, e le ville.
Poi, quando una provincia è stata involta
ne’ disordini un tempo, tornar suole
virtute ad abitarvi un’altra volta.
La fortuna non è più una figura legata a Dio ma è legge naturale, immutabile e conoscibile; una regola valida in ogni età che conferisce alla Storia un andare ciclico. La fortuna è anche imprevedibile ma l’uomo del Rinascimento può trarre a proprio vantaggio questi repentini stravolgimenti. L’Asino è la vittoria dell’uomo conscio delle proprie possibilità e potenzialità.
Nel sesto e settimo capitolo, il poeta conosce dalla giovane donna com’è organizzato il castello della maga Circe - struttura questa che ricorda, e non tanto vagamente, quella dei tre regni ultramondani visitati da Dante Alighieri – e gli animali/anime dannate che lo popolano.
Io non ti vo’ discorrere ogni loco;
perchè a voler parlar di tutti quanti,
sarebbe il parlar lungo, e il tempo poco.
Bastiti questo, che dietro, e d’avanti
ci son cervi, pantere, e leopardi,
e maggior bestie assai, che leofanti.
Nell’ottavo e ultimo capitolo, il poeta e la giovane donna fanno la conoscenza di un porco che spende parole poco lusinghiere sul genere umano, ritratto come spietato, perverso ed immorale.
Vostr’è l’ambizion, lussuria, e ’l pianto,
e l’avarizia, che genera scabbia
nel viver vostro, che stimate tanto.
Nessun altro animal si trova, ch’abbia
più fragil vita, e di viver più voglia,
più confuso timore, o maggior rabbia.
Non dà l’un porco all’altro porco doglia,
l’un cervo all’altro; solamente l’uomo
l’altr’uom ammazza, crocifigge, e spoglia.
Un odio profondo che lo porterà ad esclamare, alla fine: «Viver con voi io non voglio, e rifiuto;/ e veggo ben che tu se’ in quello errore,/ che me più tempo ancor ebbe tenuto».
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Certo l’Asino è il trionfo dell’uomo, visto anche nel suo essere corpo, ma per il quondam Segretario esistono ancora delle storture che non permettono all’umanità di migliorare ancora di più.
Ecco allora il senso del viaggio del poeta-asino: conoscere i difetti ed i vizi dell’umano genere per fuggirli.
Certo questo poemetto non è concluso, Machiavelli poi, in alcuni passi, dimostra di non avere un disegno solido e ben unitario; ma, credo, che anche l’Asino conservi ancora un innegabile fascino e la sua lettura permetterà di comprendere di più e meglio la sfaccettata figura di uno degli intellettuali più lucidi ed irriverenti della nostra letteratura.
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