La città e il racconto: i bagni di Trieste e le mille trame di New York
Di qua l’elegante e sempre conteso porto della Mitteleuropa, disinvolto lungomare in cui scivola il Carso, focolare di Umberto Saba, amato da Guido Piovene «di un amore speciale». Di là la capitale (giovanissima a confronto) del Nuovo Mondo, tentacolare miscuglio di migrazioni, culture e storie: stiamo parlando di Trieste e New York, che due recenti pubblicazioni raccontano secondo modelli editoriali e strategie narrative per certi versi complementari. Di qua abbiamo I mari di Trieste (Bompiani), a cura di Federica Manzon, la quale chiama a raccolta dieci autori contemporanei, nati o vissuti nell’antico dominio asburgico, a cui viene affidato il compito di raccontare una porzione precisa della città: i suoi bagni (bagni che a Trieste sono un’istituzione e offrono svariati appigli immaginativi). Di là la giovane casa editrice Informant (nata nel 2012, si dedica a ebook specializzati in reportage, giornalismo long-form e inchieste) propone Empire State of Fiction – sulle tracce delle storie di New York, prefazione di Vincenzo Latronico; qui lo scrittore e giornalista Davide Piacenza, assembla una narrazione polifonica, estraendola dallo stesso tessuto urbano di NY, metropoli di rimandi: una combinazione unica di film, libri, vite di scrittori, musicisti ed eventi indimenticabili.
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Trieste è «la città portuale più settentrionale del Mediterraneo», a ridosso di un confine che le è costato travagli, cambiamenti, sterzate. La toponomastica balneare de I mari di Trieste è un programma suggestivo… il bagno Ausonia (piscina salata della città), la Diga (con un lato al mare aperto), il Pedocìn (popolare), il Bagno Militare, lo Sticco, Barcola, e via a raggiungere l’accattivante Costa dei Barbari.
Brava Federica Manzon a collezionare le voci degli autori, liberi fra generi e tempi diversi, con un solo denominatore comune. Si parte dal memoir: gli anni Settanta di Mauro Covacich, i delicatissimi ricordi di gioventù di Claudio Magris, l’adolescenza snob di Gillo Dorfles (che saluta Trieste come gemella di San Pietroburgo). Sorprendono le quindici stanze del poemetto di Claudio Grisancich, da masticare e godere a voce alta. Le osservazioni narrativo-antropologiche di Veit Heinichen e Alessandro Mezzena Lona divertono, mentre più pastose e cupe sono le rievocazioni di Boris Pahor; il racconto di Pino Roveredo è imbevuto di rimpianto per «il dolce rumore del dialetto triestino»; l’amore di ragazzo di Pietro Spirito fa da ponte verso la Costa dei Barbari di Mary Barbara Tolusso, che ci spiega che Trieste «pare corpo irrisolto, braccia petto e gambe sembrano proprio di donna, anche se ha quel tanto di forza che la indurisce».
Ovunque, c’è il mare: simbolo di libertà per Pahor, indistinguibile dall’amore per Magris, distesa d’acqua porta lontano, ben oltre l’Adriatico, ma che è anche creatura multiforme (Dorfles lo accusa di troppa volubilità e incertezza).
L’agile volumetto è impreziosito dalle fotografie di Diego Artioli (nome d’arte Escapista), che sono serbate nel cuore del libro come in uno scrigno. Sfogliarle è un piacere che non ci si nega, durante la lettura, tra un racconto e l’altro, ma sono anche immagini cui si torna con emozione alla fine, prima di chiudere il libro.
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Empire State of Fiction è una morbida esplorazione che ricorda un lunghissimo piano sequenza e che nella realtà è durata giorni. Davide Piacenza ci porta per le strade di New York, giocando con la sua e la nostra memoria, per aprire dei percorsi. Siamo costantemente invitati a mettere a prova la nostra curiosità. Tutti conosciamo NY, ci siamo già stati. È così, Vincenzo Latronico lo dice bene nella prefazione: «Il fatto che sia un luogo fisico reale è incredibilmente meno importante del fatto che sia un famoso fondale di avventure». Queste malie non vanno che raccolte e fatte “reagire”, ed è ciò che si propone Piacenza sfruttando a pieno le possibilità dell’ebook. La scrittura si dipana agile fra i numerosi link ipertestuali che ci conducono dentro a spezzoni di film su Youtube, siti di riviste come «Paris Review», fino alle case editrici italiane.
Viaggiando attraverso medium diversi, il lettore, contemporaneamente, ricorda. E si sorprende, poiché ha davanti una scacchiera invisibile, che tiene insieme l’elegia di C’era una volta in America, l’universo sonoro di Grace Paley, il Dakota Building e lo Yankee Stadium, le ragazze di Girls, il giovane Holden eroe dei fuggitivi, Tom Wolfe, Americn Psycho e Nora Ephron. E naturalmente, molto altro, fino al topos della distruzione: da Godzilla e King Kong, alla criminalità organizzata – una dimensione stravolta che fa da specchio e riflette, verso il lato della realtà, la tragedia dell’11 settembre, la sua memoria incarnata.
La domanda che seduce il lettore è quella più sottile e radicale: «Fino a che punto Vito Corleone, Carrie Bradshaw e Holden Caulfield sono meno reali delle due signore che nutrivano gli scoiattoli al Washington Square Park?».
I mari di Trieste ed Empire State of Fiction: ecco due buoni punti di partenza, diversi, per riflettere sulla città come trama narrativa e sulla memoria individuale e collettiva. Non occorre scegliere, anzi è inebriante muoversi sul crinale e godere contemporaneamente di due viste vertiginose.
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