La Cina delle ingiustizie e della povertà nelle novelle di Yan Lianke
Le novelle di Yan Lianke, tradotte da Marco Fumian e pubblicato da Atmosphere Libri, offrono un’inusuale rappresentazione dell’immaginario cinese, quantomeno di quello che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni, anzi decenni.
Non c’è una Cina opulenta qui, ricca, la Cina del miracolo economico che ha investito qualunque settore esistente, monopolizzando il mercato mondiale. Non sono rappresentati qui gli audaci grattacieli di Shanghai e di Pechino, né le efficientissime università, sempre più nutrite di studenti occidentali alle prese con l’apprendimento di una lingua adesso essenziale, né ci sono quei treni super veloci che sfrecciano unendo le innumerevoli metropoli del suo immenso territorio.
La Cina di Yan Lianke è quella arretrata, quella tenuta debitamente nascosta o stigmatizzata, quella non attraversata né dai turisti, né dai businessman.
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È questa parte di mondo che il nostro svela e scopre, racconta e satireggia, la Cina delle campagne, dei contadini, di una società rurale marginalizzata ed esclusa.
Ne Il podestà Liu e altre novelle, Yan Lianke usa uno stile unico, che è poi quello che lo caratterizza e che lo ha reso tra i più celebri scrittori contemporanei del suo paese.
In un primo momento, infatti, sembra voler distogliere il lettore dal suo proposito, ovvero quello di raccontare le effettive condizioni dei contadini di una Cina ai margini. I toni viaggiano sul grottesco, sul carnascialesco e sull’assurdo. Uno stile che lo stesso Yan Lianke definisce pararealismo, ovvero un procedimento che consiste nell’inserire in una data narrazione, che conserva comunque un registro realistico, circostanze ed eventi inverosimili, improbabili o, in buona parte, esagerati, con lo scopo di vincere, con una valenza metaforica di elementi incongrui, la realtà convenzionale e far emergere la verità nascosta.
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È con questo stile, forse il più trincerato e sublime, che Yan Lianke riesce a mettere in luce le ingiustizie e le sofferenze dell’odierna Cina, di un paese che vanta davanti al mondo la sua modernità.
Esemplare si potrebbe definire la prima novella che s’intitola Tre bastonate, in cui il contadino Shi Genzi, dopo aver ucciso a colpi di bastonate Li Mang, il signorotto l’oppressore del villaggio, intraprende un ironico dialogo con il giudice. Mentre questi, infatti, vuole salvarlo dal suo inesorabile destino, Shi Genzi, al contrario, pressa il giudice perché lo condanni a morte.
I toni delle novelle hanno sì questo sapore tragicomico, a tratti ilare e caustico, irridente e beffardo perché stilisticamente rappresenta il miglior modo con cui Yan Lianke riesce a incarnare le storture del potere, le diseguaglianze sociali, le contraddizioni e quanto, a volte, la psiche delle persone sia talmente assuefatta alla logica di un potere malato da non scorgere alcuna aberrazione nel gesto di offrirsi per scontare la pena al posto di un potente, come nella novella Setola bianca, setola nera.
A parere dello scrivente quest’ultima è la novella più interessante, tratta una storia di emarginazione ma lo fa con una narrazione dalle sfumature assurde e surreali.
Il protagonista è Liu Genbao, un giovane adolescente che non riesce a prendere moglie, fatto percepito nella familistica società cinese un fallimento. Il motivo per cui il ragazzo non prende moglie non è solo dipeso dal fatto che fosse ritenuto dalla comunità un“calabraghe”, o non solo, ma anche perché Liu Genbao appartiene a una famiglia povera senza alcun vincolo di clan.
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L’unico modo che ha avuto il ragazzo per riscattare la sua condizione di emarginazione era, infatti, quella di andare in galera al posto del capo del borgo e assicurarsi, così, una donna in moglie.
Chiaramente non sarà il solo ad avere la speranza di uscire da quella condizione di emarginazione, si candideranno allora altri al ruolo di capro espiatorio. Assurdo e divertente apparirà l’allestimento di una lotteria per stabilire chi si accaparrerà il privilegio di andare in carcere per conto del capo del borgo.
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Ad ogni modo, queste novelle offrono, senza dubbio, lo spunto per approfondire ulteriormente la conoscenza di uno scrittore come Yan Lianke che, per certi versi, non può non ricordare il nostro Calvino.
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