La casa di Hemingway a Key West: cronaca di una visita
Mi ritrovo così nella US1, la celebre via che unisce la terra ferma a Key West, dove finalmente vedrò la casa di un celebre scrittore che ho amato nelle mie prime letture adolescenziali. Da Miami sono poco meno di 300 km, ho noleggiato una Chevrolet Cruze, un’auto confortevole e adatta per viaggiare, non vedo l’ora.
Con me ho tutto ciò che serve: la voglia di lasciare andare la testa dove vuole.
Fino a Florida City, a sud di Miami, arrivo attraverso la turnpike, l’autostrada a pedaggio, e da quel punto in poi inizia un sogno, un via vai di isolette, con ponti enormi, sospesi sul mare. Il sole è alle mie spalle, perciò vedo tutto, davanti a me, illuminato senza riverberi. Ho pensato più volte a lui, a come ci arrivava a Key West, con quali sogni, con quali preoccupazioni, lui, nato nel profondo Midwest, cronista in un quotidiano di provincia, volontario in Europa durante la prima guerra.
Per chi, come me, vive nella provincia di Vicenza, Hemingway significa molto, significa Lanificio Cazzola, in primo luogo, ma anche Bassano Del Grappa. Ricordo che a diciassette anni, quando lessi per la prima volta Addio alle armi, mi recai a Schio, volevo vedere dove aveva trascorso circa due settimane colui che stava diventando uno dei miei scrittori preferiti. Andai a Bassano a cercare la villa sul Brenta. Aveva circa la mia età, poco più, io giocavo a sfidare l’aneddotica letteraria, lui invece la storia la faceva, la viveva, la subiva. Mi sentivo uno scemo, ricordo con precisione che mi sembrava di valere poco rispetto alle vite di quei ragazzi, la sensazione di inutilità rispetto ai destini di altri, che mi avevano preceduto nel fiume della storia.
E ora eccomi qui, sulla US1, a poche ore di strada da una delle case che lo ospitò per anni. Quanto a lungo ho atteso questo momento. Quanti viaggi prima di affrontare una tappa che sognavo da giovane. Sono già stato a Key West una volta, ma in quell’occasione non avevo avuto il tempo di recarmi alla casa di Hemingway.
Il cruise control è impostato, non mi serve neanche utilizzare la frizione perché l’auto ha il cambio automatico, ho davanti a me ore di libertà mentale, non ci sono impegni lavorativi, non ci sono gli idioti, non c’è la politica invasiva italiana, non ci sono le delusioni. Io e il mio sogno giovanile.
Appena varco il cancello, al 907 di Whitehead Street, ecco la sua casa, dove dimorò negli anni Trenta del secolo scorso. Il signore con la camicia è la guida. Un tipo simpatico, dall’inglese molto south style e il suo dannato pin-pen merger mi mette in difficoltà, vuole dire parente o comprensione, kin o ken? Intende bordo o lui o Hemingway, him o hem? Ma l’ironia e la gestualità risolvono i problemi. Ridiamo tutti di continuo, si prospetta un tour con il sorriso.
Particolare interessante: ci sono gatti ovunque. E si sprecano le leggende sulle sei dita dei felini, esatto, sei, non cinque come tutti i comuni gatti mortali. Nel 2006 mezzo mondo aveva parlato dei gatti della casa di Hemingway, io posso solo dire che sono ovunque, decine, anche se nella parte posteriore dell’edificio ci sono molte gabbie che contengono non pochi gatti. Hemingway aveva una passione/ossessione per questi animali.
Inizia il tour e la prima cosa che mi colpisce è il numero di quadri presenti, tanti, su tutte le pareti.
Qui in Italia, nell’ottobre del 1918.
La guida ci racconta chi cosa come quando. Fa una pausa, beve un po’ di liquore dal contenitore tascabile, e ci porta in cucina, dove ci spiega che il livello del lavello e del fornello era stato modificato dallo stesso Hemingway per ragioni di comodità funzionale.
Al piano superiore, dopo avere fatto una lunga scalinata, giriamo a destra e finiamo nella stanza da letto di Hemingway. Minimalista ma con pezzi di design dell’epoca.
La casa è conservata bene, nel rispetto dello scrittore che oserei definire un culto, c’è una ritualità nella guida che mi impressiona, non si sta parlando soltanto di una persona che ha ottenuto il premio Nobel, si sta parlando di Lui, dello Scrittore, dell’Irraggiungibile. Mi è chiaro sempre più, qui c’è un vero e proprio culto di Hemingway.
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Gli aneddoti si rincorrono uno verso l’altro, la ragione per la quale i gatti a sei dita sarebbero solo qui o gli ospiti che assaporavano lo stile del padrone di casa, finendo poi a fare bisboccia in qualche locale dell’isola; il cimitero dei gatti (sì, un cimitero!) e il pisciatoio diventato un abbeveratoio; i rapporti complicati con le diverse mogli e lo studio dedicato alla scrittura.
Mi dà una strana sensazione vedere da vicino il bagno di Hemingway, come se in qualche modo vederlo trasfigurasse in me una procedura di smitizzazione dello scrittore. Mi accade sempre, quando visito le loro dimore.
Dopo avere visitato anche una casupola attigua a quella principale, dove Hemingway scriveva le sue opere, il tour finisce nei pressi della piscina privata. La guida ci saluta, ringrazia per l’attenzione e io mi dirigo verso il piccolo bookstore dove trovo souvenir e libri in quantità.
Mi prendo il tempo per visitare il giardino e per riposare, seduto in una panchina. Provo a immaginare, a vederlo lì, non lontano da me, sorrido. Sorrido perché lo penso alle prese con qualche accesa discussione in compagnia della moglie Pauline, magari pensando all’amante Jane, o di ritorno, non certo sobrio, da una serata in qualche pub, o infastidito perché quel tal periodo di Morte nel pomeriggio non suona bene o a sognare guardando il mare, in direzione di Cuba.
All’uscita della casa museo, lo saluto con la mente dicendogli ciao, soddisfatto della visita e ora mi aspetta una serata nel centro di Key West.
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