“La Casa del Sollievo Mentale” di Francesco Permunian
La prima idea che mi è balzata alla mente imbattendomi nell'ultimo romanzo di Francesco Permunian La Casadel Sollievo Mentale (Nutrimenti, 2011) è la stretta parentela con la poesia delle "macchine inutili" di Bruno Munari, per loro stessa concezione ed essenza affrancate dall'urgenza di profitto. E come esse, ogni narrazione di Permunian è scevra da certo spicciolo utilitarismo mimetico, oggi di gran moda; la letteratura essendo restituita alla sua genuina natura di creazione, pura inventio che solo per via del tutto indiretta può rappresentare vizi ed orrori del nostro tempo.
L'amore per il congegno ben oliato, che avevamo già conosciuto con il romanzo che lo ha portato all'attenzione della critica e del pubblico (Cronaca di un servo felice, Meridiano Zero, 1999), lo ritroviamo qui intatto nell'allestimento dell'ennesimo assurdo e grottesco teatrino meccanico, infarcito di verve citatoria e sustanziato di follia, nevrosi, tic, oscenità, fatti strampalati o verità innominabili. Ne vien fuori la parodica ed eccitata rappresentazione di un mondo fuori sesto (che si carica nel finale di un'inattesa impennata noir), arpeggiato sul tono dominante di un grottesco la cui peculiarità risiede nell'insinuarsi sul crinale delle intermittenze al limite estremo tra assurdo e cruda realtà, non-senso e profondità di ragione.
A dipanare l'intreccio di destini abitati in modo diverso dalla follia è Ludovico Toppi, un colto bibliotecario del lago di Garda (la stessa professione dello scrittore) e a suo modo, come peraltro già il "servo felice", un indagatore del caos, le cui innocue follie (l'intrapresa filologica di compilare un Piccolo Catalogo Portatile della Risata Bresciana e il fidanzarsi con due bambole di gomma) lo aiutano a sopportare la più crudele follia d'una presunta normalità. È lui a raccontare le vicende di uomini e donne unti dal crisma dell'insania, personaggi bizzarri e insieme inquietanti: a cominciare dal suo migliore amico, lo strampalato barone Alfonsino Manotazo, tratteggiato sulla falsariga di tanti eccentrici baroni della provincia italiana, puttaniere, scapolo e discepolo di un Guido Ceronetti venerato al pari di una divinità; o la sorella Reginalda Manotazo, in pieno marasma devozionale, sessualmente disturbata, che crede di evangelizzare il prossimo istigandolo ai piacere della carne; zia Arpalice, ninfomane ossessionata dalle visioni mariane; Girolamo Toppi, il padre del bibliotecario, ex falegname ipocondriaco che riesce a confidare solamente nell'agioterapia; l'Incendiario (il nuovo fidanzato di Arpalice), scienziato pazzo che approfondisce le ricerche sul fuoco dell'universo; Armandino, il necroforo sodomita; le signorine Eburnea e Leocadia, due Real Dolls, bambole di silicone capaci di sentimenti (?); l'esimio dottor Camillo Gruber, psichiatra infantile di fama mondiale il cui segreto indicibile è una «macabra anagrafe» e il suo allievo, Diomede Korea, direttore della Casa del Sollievo Mentale (una ex-fortezza austro-ungarica trasformata in sanatorio di provincia dai metodi di cura non convenzionali), seguace del Duce dalle ambizioni letterarie.
Incredibili figurine di «varietà manicomiale», le chine amniotiche e brumose partorite dalla mente «teatrale e barocca» di Permunian, oltre a celebrare il nostalgico de profundis per un mondo di bellezza ormai svanito, offrono al lettore una radicale implicita critica a una contemporaneità irrimediabilmente malata, oscena e insensata in ogni sua manifestazione, e dove perfino l'afflato religioso è superstite solo nelle apparenze, ridotto a visionarietà blasfema, circo devozionale tenuto in vita per esorcizzare l'infinita paura della prossima inevitabile estinzione. Non mancano poi affondi ironici e sberleffi diretti alla società letteraria: si legga l'esilarante capitolo dell'incursione dell'allegra comitiva capeggiata dal barone Alfonsino Manotazo (con tanto di bambole al seguito) al festivaletteratura di Mantova per rendere omaggio al divino maestro Guido Ceronetti, che alla lontana, per l'effetto epifanico, ricorda (tenuto conto delle dovute proporzioni) la memorabile apparizione di Aleister Crowley nel 1920 in quel di Cefalù di cui racconta in Nottetempo, casa per casa (1992) il politico e barocco scrittore siciliano Vincenzo Consolo.
Non so se abbia ragione Luca Doninelli ad ascriverlo alla schiva tradizione degli «scrittori crudeli per obbligo» (Piovene, Comisso, Parise, Berto, Zanzotto), ma il suo nutrirsi di libri e di parole (si rammenti che Permunian è anche un raffinato poeta), lo rende uno scrittore certamente palinsestuoso, che alimenta ogni sua pagina col fuoco della letteratura; mosso da una necessità quasi di svelare, specificare, mettere in abisso ogni reperto citatorio (che si tratti di ripescare le Varie Avvertenze Utili e necessarie agli Amatori de' buoni Libri del bibliomane padovano padre Gaetano Volpi o l'«espediente quagliesco» di Antonio Ranieri). Di contro agli ardui tentativi, persi in partenza, di descrizione in presa diretta del reale, con le sue fiabesche e teatrali "macchine inutili" Francesco Permunian continua a far piazza pulita del pregiudizio realista per leggere sotto altra chiave la «ridanciana laidezza» del nostro tempo.
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