“La carta e il territorio” di Michel Houellebecq
Michel Houellebecq, classe '58, è un narratore furbo, un arguto e preciso mestierante. Ciò serva da stringata ma perentoria premessa a questa rapida analisi del suo ultimo romanzo, La carta e il territorio, uscito per Bompiani, nella collana Narratori Stranieri, con la traduzione di Fabrizio Ascari.
Non siamo abituati a raccontare la trama di quanto analizziamo; non crediamo granché nell'utilità di un'operazione simile; una volta di più, non lo faremo, anzi a maggior ragione si cercherà di evitare quanto più possibile di agganciarci ai fatti, in verità non molti, messi in scena dall'autore francese. Houellebecq è uno scrittore onnipresente nei suoi volumi; interviene nella narrazione aggiungendo riflessioni, rievocando teorie scientifiche, sociologiche, economiche, riflettendo su oggetti, mode, usi, orientamenti. Tende ad un'opera d'arte letteraria “enciclopedica”, per certi versi “totale”. E, in un modo del tutto personale, ci riesce.
Fa questo anche in La carta e il territorio: il protagonista si chiama Jed Martin, artista ormai disilluso e cinico. Il coprotagonista è Houellebecq stesso, proprio lui, l'autore che si rende parte della storia, si fa carne e sangue (letteralmente, come avrà modo di scoprire il lettore) nella diegesi. Operazione di vanità, dirà qualcuno; stratagemma astuto ma non condivisibile, grideranno altri. In realtà, Houellebecq si rende un pezzo da museo, si scava dentro e riempie di sé l'opera; non c'è nulla che non sia “l'autore”, in La carta e il territorio, cosa che, sic et simpliciter, non necessariamente costituisce un vantaggio. Ma il nostro è così, take it or leave it.
Houellebecq costruisce un romanzo di estrema scorrevolezza, addirittura quasi eccessiva e “d'appendice”, ma sotterraneamente chiude i propri personaggi, tra cui, come si diceva poco sopra, se stesso, in quella che, nel contesto di certa produzione di Pirandello, è stata definita una “camera della tortura”. Quella di Houellebecq ha un'estensione notevolmente maggiore, in quanto gli attanti si muovono costantemente nello spazio ma, in fin dei conti, rimangono confinati, ciascuno nelle profondità del proprio guscio umano (si confronti, con inedito slancio “multimediale”, My body is a cage, brano musicale dei canadesi Arcade Fire, traccia finale dell'album Neon Bible).
La carta e il territorio raccoglie frutti da gran parte delle opere pregresse di Houellebecq, e imbastisce una nuova semina, senza tuttavia far perdere nulla alla complessità e alla coerenza interna della bibliografia di quest'autore. Il romanzo, in qualche modo, si apparenta alle altre opere: “è” Estensione del dominio della lotta perché realizza l'allargamento di un contesto competitivo, dalla sfera lavorativa a quella esistenziale; “è” Le particelle elementari in quanto affresco senza speranza dei rapporti interpersonali; “è” Piattaforma nel centro del mondo nelle elucubrazioni sul turismo e in generale su quel fenomeno attualissimo che è la compressione spazio-temporale.
È, da ultimo, un romanzo che conduce, di nuovo, nelle lande desolate esplorate con coraggiosa rassegnazione in La possibilità di un'isola e che riecheggia molte poesie contenute nel volume La ricerca della felicità (edito, sempre da Bompiani, nel 2008). Jed Martin vive perso nell'esistenza, smarrito negli anni che rotolano via. Per citare la materia viva, il romanzo stesso: «Qualche volta aveva l'ipermercato tutto per sé – il che gli pareva fosse un'approssimazione abbastanza buona della felicità»; è un essere che conosce successo, in parte amore, delusioni molte, e in conclusione si trova ad essere «tranquillo e senza gioia, definitivamente neutro».
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