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Interviste scrittori

La capacità di creare è un dono individuale

GenioShakespeare e Dante costituiscono il centro del Canone perché superano tutti gli altri scrittori occidentali in fatto di acutezza cognitiva, energia linguistica e forza di invenzione. Può darsi che tutt'e tre le doti si amalgamino in una passione ontologica che è un capacità di gioia o quello che Blake intendeva con il suo Proverbio dell’Inferno: "Esuberanza è bellezza". Energie sociali sussistono in ogni età, ma non sono in grado di comporre opere teatrali, poemi e narrazioni. La capacità di creare è un dono individuale, presente in tutte le ere ma con ogni evidenza largamente favorito da particolari contesti, slanci nazionali che tuttavia studiamo solo per segmenti, dal momento che l’unità di una grande era è una generica illusione. Shakespeare è stato un accidente? L’immaginazione letteraria e i modi di incarnarla sono null’altro che stravaganti entità, come anche la comparsa di un Mozart? Shakespeare non è uno di quei poeti che non hanno bisogno di uno sviluppo, che sembrano pienamente formati fin dall’inizio, quel raro gruppetto che comprende Marlowe, Blake, Rimbaud, Crane, scrittori che non sembrano affatto dischiudersi: Tamerlano il Grande, Parte prima, Schizzi poetici, le Illuminazioni, Bianchi edifici, sono già sulle cime.

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Esattamente come Dante supera ogni altro scrittore, prima e dopo, nell’enfatizzare una definitiva immutabilità di ciascuno di noi, una posizione fissa che dobbiamo occupare in eterno, Shakespeare supera ogni altro nel dare evidenza a una psicologia della mutabilità. È questa solo una parte dello splendore di Shakespeare, il quale non soltanto supera tutti i rivali, ma dà il via alla descrizione dell’auto-mutamento sulla base dell’auto-origliamento avendo, a spronarlo a queste innovazioni letterarie, più degne di nota di ogni altra, null’altro che lo spunto tratto da Chaucer. [...] A partire da Falstaff, Shakespeare aggiunge alla funzione della scrittura immaginifica, che era ammaestramento a come parlare agli altri, l’ormai dominante anche se più malinconica lezione della poesia: come parlare con noi stessi.

 

[tratto da Harold Bloom, Il canone occidentale, Bompiani]

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