La bocciatura di Netanyahu e Abu Mazen
Le tregue farsa tra Israele e Hamas segnano la bocciatura di Netanyahu e Abu Mazen. Israele non ce l’ha fatta e condurre a termine un’operazione improba sin nelle premesse. Non tutti i tunnel sono stati distrutti, non tutti i “terroristi” eliminati, mentre è intollerabile il numero dei civili morti. Nel campo avverso, Abu Mazen non è stato all’altezza del conflitto, sparendo dalle cronache e lasciando il campo alla retorica barricadera di Hamas.
Sul piano internazionale Netanyahu non ha trovato l’appoggio sperato perché l’operazione è apparsa subito azzardata e sproporzionata rispetto alle motivazioni addotte: non gli è venuta la solidarietà di tutte le Nazioni Unite e ha dovuto cercare in una successione rapida di piccole tregue una legittimazione al riordino delle idee in vista di chissà quale scenario militare da qui a qualche settimana. Sul piano interno il fronte dei suoi oppositori si è allargato, mettendone in discussione la leadership e il ruolo politico attuale, producendo una frattura di cui paga le conseguenze la democrazia israeliana.
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Tra i palestinesi, invece, chi non ha più voce in capitolo è Abu Mazen, piccolo leader scalzato dall’avanzata culturale della rete di Hamas, ormai egemone sul piano politico oltreché militare.Incapace di tenere sotto controllo il suo indigesto alleato di governo, Abu Mazen sembra destinato a sparire dalla scena pubblica, delegittimato dallo stesso Netanyahuche ha preferito concordare le tregue con Hamas, e dagli stati vicini come l’Egitto.
Si apre una fase nuova in questa porzione di Mediterraneo in guerra, anche sotto la pressione degli eventi iracheni e dell’avanzata dell’Isis. Lì dove crollano le speranze di democrazia, si affermano costruzioni politiche che si richiamano a forme di islamismo radicale per bieco interesse territoriale, economico, di gestione affaristica della cosa pubblica. E certo non aiutano gli scandali che hanno attraversato la politica israeliana interna, fatti di corruzione e ricatti sessuali. C’è da sperare che il fronte non si allarghi, che i radicalismi non penetrino in Tunisia, Algeria e Marocco, ma osservando quel che accade nella Libia post Gheddafi, c’è poco da star contenti. Tutta l’area è destabilizzata e fuori controllo, vive nella precarietà dei governi in carica e nella sconfitta del desiderio di democrazia. A nulla valgono gli appelli degli Usa e le prese di posizione di Erdogan: con la bocciatura di Netanyahu e Abu Mazen gli interlocutori sono già cambiati, in peggio.
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