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“La bicicletta volante” di Fabio Giallombardo

Fabio Giallombardo, La bicicletta volanteLa bicicletta volante è il primo romanzo di Fabio Giallombardo, uscito per Autodafé Edizioni, piccola ma agguerrita casa editrice di Milano, nel marzo 2014. Giallombardo, classe 1973, padovano di nascita e palermitano “di adozione”, e forse anche per vocazione, ha vissuto nel capoluogo siciliano la propria infanzia e parte della giovinezza, muovendosi nell’ambito del volontariato e in particolare tra il Capo, la Kalsa e Ballarò, espressioni massime della cultura e della storia palermitana, antica e recente.

La storia che questo agile romanzo racconta è fatta di più racconti, uno dentro l’altro, tenuti assieme da una narrazione più grande, quella della storia d’Italia nel Novecento; nello specifico, storia italiana che parte dalla storia della città di Palermo, nei primi anni Novanta, con le sue pieghe e contraddizioni, fra degrado e alta società, strade polverose e interni di lusso. Nel Prologo, un procuratore, Ettore Toselli, riceve da uno sconosciuto, tale Giovanni Paolo Fava, un plico che contiene un manoscritto redatto su un Moleskine da un noto cardiochirurgo, Gaspare Traina, e una lettera, vergata dallo stesso e indirizzata, così come il manoscritto, al figlio Salvatore, pochi giorni dopo la morte prematura del giovane. Il procuratore Toselli inizia la lettura, e noi lettori, con lui, scopriamo, pezzo dopo pezzo, il “diario segreto”, che diventa “diario in pubblico”, di Gaspare, a cominciare dall’arresto di suo padre, Achille Traina, stimato medico, accusato, a seguito di alcune dichiarazioni di un pentito, Ignazio La Rosa, di essere “il medico della mafia”.

Il romanzo di Fabio Giallombardo si alimenta così del fiume di ricordi di Gaspare Traina, che delinea la propria complessa storia familiare, intrecciata a quella della altrettanto nota famiglia La Rosa. Da un lato, un esempio quasi paradigmatico di alta e ricca borghesia, strutturata secondo un preciso codice di onestà, onorabilità, rispetto della stratificazione sociale; dall’altro un codice altrettanto rigido, ma dalla parte opposta di una linea di demarcazione molto più sottile di quanto si possa immaginare. Come ci dice il narratore, «quel confine che io non volevo guardare, per non scoprirlo molto più vicino a noi di quanto non volessi far credere a me stesso».

Con La bicicletta volante siamo di fronte, perciò, a un testo complicato nel senso etimologico del termine, più che complesso, in cui diversi personaggi sembrano reclamare, a turno, la voce e il palco, per dire la propria in un affresco esteso, anche se, come detto, svolto dal suo autore con una certa rapidità. La lingua utilizzata da Fabio Giallombardo è intimamente segnata da una dualità, che a tratti sfocia in contraddizione; a noi, nel complesso, non è dispiaciuta, tuttavia potrebbe costituire per taluni lettori un elemento di relativa criticità. 

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Fabio GiallombardoLa fondamentale alternanza di due “voci”, una più elevata secondo una prospettiva diastratica, e una decisamente più modesta per collocazione sociale, non corrisponde sempre a una sensibile variazione di registro. Ed è in questo modo che i ricordi di un uomo colto e ricco trovano realizzazione in una performance linguistica che è molto simile pure quando deve parlare (o, almeno in un caso, addirittura, far parlare direttamente) di degrado, prostituzione, affari illeciti e regole del malaffare. Di certo, anche stando solo all’aggettivazione, non si può dire che non si “senta” la prima professione dell’autore, insegnante in un liceo classico.

In ordine allo stile, per i motivi già esposti, preferiamo i luoghi testuali nei quali la fa da padrone un lessico marcato in senso regionalistico, con l’utilizzo di calchi, quando non di veri e propri prestiti, dal siciliano. Per i non palermitani, un breve dizionario in appendice può sollevare da qualche imbarazzo.

Nel complesso, dunque, è un buon romanzo, questo La bicicletta volante di Fabio Giallombardo. Interessante nella costruzione, ben scritto (anche troppo, potrebbe dire qualcuno), è un testo lucido nel mettere a fuoco la tragedia della storia italiana: essere espressione di un mai inveterato equilibrismo.

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