La Berlino noir di Philip Kerr. “Violette di marzo”
È un gradito ritorno in libreria quello dello scrittore scozzese Philip Kerr. Fazi Editore con Violette di marzo (traduzione di Patrizia Bernardini) ripropone la "trilogia berlinese", a un anno dalla morte dell'autore e a trent'anni dall'uscita del primo volume che vede protagonista il detective privato Bernie Gunther.
Il romanzo si apre alla vigilia delle olimpiadi di Berlino del 1936. La città è tirata al lucido, si mostra alle delegazioni straniere in tutta la sua grandezza e in tutto il suo splendore. Persino le bacheche del giornale antisemita «Der Stürmer», con tutta la sua carica d'odio e di pregiudizi, vengono celate alla vista ma l'apparenza, che può ingannare uno sguardo pigro e incurante, non convince l’attento protagonista. Dietro il paravento Berlino si mostra in tutta la sua crudeltà:
«Era questa Berlino sotto il governo nazionalsocialista: una grande casa infestata dai fantasmi, piena di angoli bui, lugubri scale, sinistre cantine, stanze chiuse a chiave e la soffitta zeppa di poltergeist in libertà, che scagliano libri, sbattono porte, spaccano vetri, urlano nella notte, spaventando a tal punto i proprietari da indurli, talvolta, a vendere tutto e andarsene. Ma questi di solito si tappavano solo le orecchie, si coprivano gli occhi pesti e facevano finta che tutto fosse a posto. Atterriti, parlavano poco, ignorando il fatto che i tappeti gli scivolavano via da sotto i piedi, e la loro risata era di quelle risatine nervose che accompagnano sempre la battuta di spirito del padrone».
Bernie si aggira per la città con la sua lingua tagliente che gli crea, nel corso del romanzo, non pochi problemi. Cappello a tesa larga, con la falda abbassata sul davanti, un pacchetto di Muratti in tasca e l'innegabile sesto senso da detective privato navigato, si aggira per la città occupandosi «quasi di tutto, tranne divorzi!». Persone scomparse e misteri di ogni genere sono il suo pane quotidiano.
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Quando nel cuore della notte un uomo misterioso lo convince a salire sulla sua Mercedes blu scuro e lo porta nella villa di un ricco industriale tedesco, Bernie viene catapultato in un caso di furto con duplice omicidio che tiene il lettore con il fiato sospeso per tutta la durata dell’indagine. Il Signor Six ingaggia il protagonista. La missione: indagare sul furto della collana di diamanti prelevata dalla cassaforte di sua figlia Grete e del genero Paul Pfarr, brutalmente uccisi. Chi ha assassinato Paul e Grete? Il furto è il motivo principale o c’è dell’altro? Perché il signor Six è così ansioso di mettere le mani sui diamanti? Questi e tanti altri sono i quesiti che si affollano nella testa di Bernie mentre fa domande e smuove situazioni, ritrovandosi sempre più invischiato tra malavita organizzata e alti vertici del Terzo Reich.
In Violette di marzo, l’atmosfera cupa è palpabile a ogni angolo di strada. Gli ebrei fanno file estenuanti per vendere – o tristemente svendere – ori e gioielli così da ottenere i documenti che permettano loro di abbandonare un paese ostile. Pestaggi, ritorsioni e minacce sono all’ordine del giorno. L’odio dilaga tra la popolazione tedesca come mero antidoto alla paura. La Berlino nazista diventa così lo scenario più indicato dove ambientare un romanzo poliziesco.
Philipp Kerr è in grado di unire il genere hardboiled americano dei maestri Raymond Chandler e Dashiell Hammett a un thriller di ambientazione storica. La minuzia di particolari con cui crea l’ambientazione perfetta dona al lettore una sorta di macchina del tempo con la quale poter immaginare ogni minimo dettaglio. Il banco dei pegni espone in bacheca una vecchia aspirapolvere Siemens, una radio Blaupunkt, un busto di Bismark e una vecchia Leica. I quartieri, i palazzi e le piazze descritte da Kerr, con una precisione incredibile, sfuggono al tempo e alle bombe che hanno cancellato quel volto della città. C’è lo storico Hotel Adlon, dove Bernie lavora da detective prima di mettersi in proprio, che, distrutto da un incendio, oggi è una copia del tempo che fu. C’è una vera e propria collezione di automobili che oggi non esistono più: dalla Duesenberg alla Bugatti Royale. E c’è Bernie che assiste all’evento più significativo delle Olimpiadi del ’36, il trionfo di Jesse Owens:
«Mentre guardavo quel negro alto e aggraziato aumentare la velocità giù nella pista, prendendosi gioco di tutte le teorie idiote sulla superiorità ariana, pensai che Owens non era che un Uomo, per cui gli altri uomini erano soltanto un penoso imbarazzo. Correre in quel modo dava il senso della vita, e se c’era mai stata una razza padrona non avrebbe certo escluso qualcuno come Jesse Owens».
La finzione del romanzo s’incastra perfettamente in questo mondo di ieri e s’intreccia con i deprecabili alti vertici nazisti. Himmler, coni suoi legami con il genero del signor Six, e Göring, con il suo leoncino domestico, incrociano la strada del protagonista e diventano personaggi chiave dell’indagine.
Kerr sfrutta a pieno tutte le caratteristiche del genere noir. Bernie è il classico detective solitario, ex poliziotto della Kripo con un linguaggio spesso sboccato. Gli piacciono le sigarette, il whisky e aggirarsi nel cuore della notte per fumosi locali notturni. Come nei classici polizieschi la vita sentimentale del protagonista è un disastro di delusioni e sofferenze mentre la femme fatale di turno, alla Rita Hayworth o alla Veronica Lake, gli fa girare la testa. Tra informatori di dubbia moralità e malavita organizzata, tra fumi dell’alcool e pistole fumanti, tutti i nodi vengono al pettine, in una girandola di colpi di scena e situazioni al cardiopalma.
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Violette di marzo non è che il primo poliziesco con protagonista Bernie Gunther. Perciò non ci resta che attendere l’uscita de Il criminale pallido e di Un Requiem tedesco, secondo e terzo capitolo di questa saga avvincente per poter godere di nuovo delle grigie strade di Berlino e degli intrecci coinvolgenti di Philipp Kerr.
Per la prima foto, copyright: Ricardo Gomez Angel su Unsplash.
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