L’urgenza di raccontare l’immigrazione attraverso “Le rughe del sorriso” di Carmine Abate
Dopo aver raccontato le vicende dei molti italiani emigrati all’estero, Carmine Abate risponde all’esigenza di narrare i migranti di oggi, uomini e donne che in Italia ci arrivano dopo un lungo viaggio per terra e per mare. Con Le rughe del sorriso, pubblicato da Mondadori, l’autore calabrese si fa carico di un tema centrale della società contemporanea e prova a mettere in parole una storia che potrebbe essere La storia di molte di quelle persone che ci siamo abituate a vedere nei servizi televisivi o nelle foto sui giornali, spesso anche per la strada, ma che non riconosciamo, e anzi cerchiamo spesso di tenere a distanza impedendo così a noi stessi di entrare in contatto con i bagagli che si portano dietro. Carmine Abate, come uno scrittore d’altri tempi, narra l’oggi attraverso i suoi occhi, quegli occhi che non poteva tenere chiusi davanti a un’attualità così multiforme e ricca, e lo fa partendo da un episodio realmente accaduto.
Sahra è una giovane somala che parte dalla sua terra e arriva in un centro di seconda accoglienza di un paese in Calabria, dove vive con la cognata Faaduma e la nipotina Maryan, figlia di suo fratello Hassan. A prima vista di Sahra colpiscono la bellezza e la fierezza con cui si muove, ma soprattutto quel «sorriso enigmatico, luminoso, che si dilatava fino a spegnersi in una tramatura di sottilissime rughe ai lati delle labbra e degli occhi». Per questo, quando all’improvviso sparisce, senza lasciare una spiegazione ma solo la promessa che tornerà, sono in molti ad accorgersi della sua assenza; in particolare Antonio Cerasa, insegnante di italiano del centro, rimasto affascinato dalla ragazza fin dal loro primo incontro. Ma chi è Sahra? Come è arrivata in Italia? E cosa nasconde dietro quel sorriso semicoperto dal velo? Lo scopriamo pian piano, seguendo le indagini dilettantesche, ma condotte con incrollabile determinazione, di Antonio, giovanotto “innamorato cotto” che non si lascia abbattere dalle difficoltà e dai rifiuti, nemmeno quando questi arrivano dagli amici più stretti. Ci avviciniamo così a scoprire il mistero della sua scomparsa (e del fratello Hassan) insieme a quello della sua storia, segreta e avvincente quanto drammatica e attuale: la nascita in un villaggio di orfani, la morte prematura dei genitori, la violenza in Mogadiscio, l’inferno del deserto e poi quello delle carceri libiche fino ad arrivare all’accoglienza in Calabria.
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Ma oltre a raccontare la storia di Sahra, e con lei il dramma dell’immigrazione, Carmine Abate riesce a intrecciare nella vicenda la nascita di Ayuub, villaggio fondato dalla principessa Mana Suldaan nel 1992, durante la guerra degli Al-shabab. Ancora oggi un’oasi nel deserto che è giusto ricordare, un angolo di paradiso in cui è possibile sottrarsi dagli orrori della guerra.
Il romanzo alterna la narrazione in prima persona di Antonio al racconto della vita di Sahra attraverso le parole dei personaggi a lei più legati, così oltre a saltare dal presente al passato in una spirale sempre più stretta, ci muoviamo tra l’Italia e l’Africa insieme ai due protagonisti di Le rughe del sorriso. In particolare, quello che colpisce è la semplicità con cui Abate porta sulla pagina i ricordi di Faaduma, la persona che meglio conosce Sahra e la sua storia, e che ci restituisce il dramma del Continente Nero; una semplicità che lascia sgomenti di fronte a un orrore che sembra diventare “quotidiano”, come se si potesse fare l’abitudine alla violenza, se viene perpetrata abbastanza a lungo, o forse è l’unico modo per sopravvivere.
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Pur mantenendo sempre uno stile semplice e lineare, Carmine Abate riesce ad alternare la voce ferma di Faaduma con quella ansiosa, e a tratti drammatica, di Antonio. Faaduma, infatti, racconta gli orrori con semplicità, senza pietismi e toni drammatici e allora riusciamo a vedere il male proprio con gli occhi di chi si è abituato a vivere tutti i giorni quella violenza che a noi sembra tanto grande quanto distante. Mentre Antonio segue le tracce di Sahra, come un innamorato ansioso che aspetta l’amata alla stazione dei treni ed è frustrato da un’attesa che diventa sempre più lunga.
Per la prima foto, copyright: Kyle Glenn.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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