L’urgenza della memoria del presente. “Est” di Gianluigi Ricuperati
Est è l’ultimo romanzo di Gianluigi Ricuperati pubblicato da Tunué, che ha come sfondo la storia del progetto Dau che prevedeva la realizzazione di un film in diverse località europee, basato sulla vita di Landau, scienziato vincitore del premio Nobel nel 1962, cercando di ricreare fedelmente la realtà storica e l'atmosfera che circondava questo personaggio, a tal punto da essere stato definito un vero e proprio esperimento sociale. Nonostante abbia ottenuto cospicui finanziamenti e la partecipazione di un cast internazionale, il progetto è stato successivamente bloccato per la mancanza dei permessi necessari alla costruzione del set cinematografico, non rilasciati per motivi di sicurezza. Secondo il disegno originario, era prevista la ricostruzione di una parte del Muro di Berlino, installazione che sarebbe durata circa un mese e che sarebbe stata fatta crollare in occasione dell'anniversario della caduta, il 9 novembre. Non solo, tutta l'area interessata dalle riprese sarebbe stata sottoposta a una vera e propria trasformazione che l'avrebbe portata indietro nel tempo. L'ambizione di quest'opera non si sarebbe fermata solo alla mera ricostruzione, ma avrebbe aperto le porte a una più profonda riflessione sui processi storici, artisti e scientifici che hanno caratterizzato il Novecento, con particolare accento sull'influenza dei regimi totalitari all'interno della società, con un cambiamento radicale del modo di percepire la storia, non più da semplici spettatori ma da attori a tutti gli effetti, con percorsi scelti per i visitatori che avrebbero dovuto partecipare attivamente al processo creativo e di ricostruzione. L'eco di questa iniziativa ha spaccato fin da subito l'opinione pubblica, il mondo della politica e della cultura, anche se, per adesso, non sembra avere séguito.
«Gli uomini hanno inventato la macchina del tempo quando è nato il primo bambino. Solo i bambini possono dire sarò giovane.»
Partiamo proprio dall’incipit del libro, una breve sentenza che apre le porte al sottile filo rosso che guiderà le vicende biografiche del protagonista: l’urgenza della memoria, o meglio la possibilità di immortalare l’istante singolare del presente, per il futuro, a testimonianza di un passato vissuto. Notiamo fin da subito che il libro ci parla in una prima persona singolare, quella di un fotografo alla continua ricerca di nuovi lavori, spunti e stimoli, che sogna di affermarsi nel campo delle arti visive, un uomo che, a suo dire, è portatore del più grande handicap che il mondo abbia mai conosciuto, l’incapacità di amare le persone adulte. Certo, sembra quasi una contraddizione che un uomo di quarant’anni, sposato e con una figlia si renda conto così tardi di questo suo grave limite, ben presto però una serie di eventi lo faranno cambiare profondamente.
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Tutto inizia con l’incontro tra il direttore creativo più importante d’Europa, Chung-Kuo, e il protagonista stesso, dal quale nascerà un’importante collaborazione con il regista Igor. Quest’ultimo, come veniamo a sapere alcuni capitoli più avanti, vuole ricostruire tramite un esperimento cinematografico la vita quotidiana sotto il regime comunista in una qualsiasi cittadina ucraina di medie dimensioni. Si concentra in particolare sulla vita del dottor Vernsdkji, personaggio realmente esistito, contrario alle politiche zariste e difensore dell’autonomia scientifica nella Russia stalinista. Il film viene però girato a Londra, al Piccadilly 99, un palazzo interamente riadattato e configurato per simulare la moda sovietica del tempo. Il fotografo decide di accettare la collaborazione proposta, buttandosi a capofitto in questo nuovo lavoro.
Contemporaneamente vengono sviluppate anche le vicende sentimentali del protagonista, proprio lui infatti afferma che «Lisa [la moglie, ndr] ed io avevamo formato un doppio singolare di enorme efficacia, nelle acque pesanti dei trent’anni. Ci supportavamo. Ci sopportavamo. Ci pretendevamo. Ma non ci amavamo. […] Se amare davvero un altro adulto significa coincidere con se stessi, per poi essere pronti a perdersi, ecco: non era quello il caso». Proprio lui, voglioso di affermarsi sopra chiunque altro non ha però il coraggio di fare il passo fondamentale: coincidere con se tesso. Il che comporta tutta una serie di conseguenze, anzitutto il fatto che si configura come l’anti-Ulisse contemporaneo, afflitto da una stasi che non vuole fargli ammettere i propri sentimenti, per paura, per il non volere affrontare l’instabilità iniziale che indubbiamente la formazione personale richiede, ma soprattutto il riflesso di questa sua pigrizia nel conoscersi che si rispecchia nello carso successo lavorativo, perché «A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?» (Eugene Smith).
In questa sua dissimulazione onesta, mascherata talvolta dall’uso di farmaci e antidepressivi, avviene però un rovesciamento. Il lavoro richiesto da Igor presuppone continue scelte, una cura meticolosa per i dettagli, ma soprattutto non bisogna lasciar interagire il mondo esterno con la finzione di quel microcosmo ricreato, proprio perché gli attori si erano calati in una realtà completamente diversa dalla loro e la comunicazione tra presente e passato non poteva e non doveva avvenire. Nell’interiorità del protagonista assistiamo allora, seppur in maniera inconsapevole, a una disambiguazione tra persona e personaggio, cioè tra colui che può vivere la realtà in maniera cosciente, che ha memoria di vissuto e sa padroneggiarla senza farsi stravolgere e quello che vive in un mondo protetto a responsabilità zero, precostituito, senza il rischio di errori, dove si dipende dalla decisione di altri.
Così, nonostante poi abbandoni il lavoro al Piccadilly 99 per una serie di vicissitudini, avviene in lui un cambiamento. Comprende che l’amore è tossico quando è sintetico, che la sofferenza è un valore, un’esperienza alla quale non possiamo sottrarci in eterno, guardando il mondo con occhi un po’ meno egoisti. Deciderà in seguito di pubblicare le fotografie fatte per il regista Igor, che gli permetteranno di avere un successo enorme. Cosa è cambiato in lui?
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Anzitutto la consapevolezza del concetto di fotografia, ovvero «Ciò che la fotografia riproduce all'infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più ripetersi esistenzialmente. In essa, l'avvenimento non si trasforma mai in altra cosa: essa riconduce sempre il corpus di cui ho bisogno al corpo che io vedo; è il Particolare assoluto, la Contingenza sovrana, spenta e come ottusa, il Tale, in breve la Tyché, l'Occasione, l'Incontro, il Reale nella sua espressione infaticabile.» (Roland Barthes) e per fare ciò ha bisogno di una persona attiva, che sappia attendere il momento adatto, che sia consapevole della realtà che la circonda, anche nei suoi aspetti più drammatici. In seguito, con l’incontro di Vera, riuscirà anche a comprendere il valore dell’amore, che implica lo sposarsi con la realtà e accettare anche che gli altri possano ferirci.
Il libro ci esorta a prendere coraggio per affrontare l’Odissea personale, quella della realtà, a combattere per ciò che conta, a divenire persone consapevoli che non fuggono – nonostante delle volte sia la scelta più facile – perché «così hanno decretato gli dèi. Che, nel perdersi, ciascuno possa ritrovare se stesso».
Per la prima foto, la fonte è qui.
Per la terza foto, la fonte è Wikipedia.
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