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L’uomo è un hamburger del McDonald’s?

L’uomo è un hamburger del McDonald’s?Oggigiorno, si sa, chi più comunica più si afferma: il potere non è più dato dalla forza, bensì dalla potenza espressiva. E se la penna è più potente della spada, o meglio se la digitalizzazione è più potente della bomba, mai lo si è dimostrato tanto come nell’ultimo recente conflitto israeliano–palestinese, dove si ha la prima guerra della storia via Twitter, o nelle macabre propagande virtuali dell’Isis, materia da cronaca dei nostri giorni; insomma, persino le armi, il mezzo del potere per eccellenza, al giorno d’oggi sentono di essere vane se non integrate con parole da condividere. Se anche il Papa riceve sul suo profilo @pontifex (molto più facilmenteche non di persona!)ed elargisce benedizioni digitali, significa che nemmeno la Fede – nemmeno Dio – può permettersi di parlare senza telecomunicare.

L’era elettronica, dal ventre della quale è uscito internet e tutto ciò che contiene, ha ridotto, per non dire annullato, le distanze reali, arrivando a tutti gli angoli della terra in una manciata di secondi. E la società stessa invero si è rapidamente accinta ad emulare il moto dell’elettrone in quasi tutti i suoi aspetti: sembra che qualsiasi cosa abbia valore solo nel momento in cui riesce a spostarsi in orizzontale, sembra cioè che «qualsiasi cosa abbia senso e importanza solo se riesce a inserirsi in una più ampia sequenza di esperienze» (Baricco, I Barbari, 2006, Feltrinelli, Milano). Il che significa spostarsi da un posto all’altro, da una dimensione all’altra, con estrema velocità, come l’istantaneo viaggio di un link. Il collasso dell’estensione delle vite in un punto caratterizza l’era della telecomunicazione.

L’uomo è un hamburger del McDonald’s?

La drastica riduzione della distanza tra periferia e centro, come ben analizzava il Pasolini corsaro, si basa sulla possibilità data ai due poli opposti di dialogare e di farlo in maniera continua e fluida. Liquida, direbbe Bauman. Il globo ora si connette e divide notizie e informazioni in ogni angolo della terra, e se il nuovo Potere, per dirla ancora con l’intellettuale di Casarsa, ha potuto imporre i suoi modelli di Uomo o Donna medi è perché ha potuto comunicare in maniera così efficace, come mai era successo nella storia, da convincere tutti. La mutazione antropologica passa per la comunicazione; la quale ha fatto, lo diciamo anche in maniera provocatoria, dell’uomo e della società un gigantesco hamburger del McDonald’s. In che modo?

Semplicemente perché viviamo sul modello dell’hamburger, che è rapido, accessibile, sempre uguale. L’uomo moderno ideale è rapido nel lavoro, negli spostamenti, nei ragionamenti, accessibile o meglio reperibile e sempre individuabile, uguale o meglio omologato e massificato.

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Prendiamo i mobili Ikea, emblema della società odierna. Il colosso svedese ha sbaragliato tutte le concorrenze nel campo dell’arredamento e ha imposto i suoi canoni a livello globale: i suoi mobili sono una specie di minimo comun denominatore del mondo. Il gusto Ikea, minimalista, pratico, economico e democratico, è un qualcosa che funziona, eccome. E questo perché sfrutta i principi cardine dell’onda moderna (elettronica) e allunga il passo. Il mobile Ikea in effetti non è più un ricercato pezzo ottenuto col duro lavoro dell’artigiano, non è più la profonda ricerca dell’arredamento adatto alla propria casa, non è più l’azienda a conduzione familiare che entra nell’abitazione del cliente per capirne i gusti, bensì è un modello globale che propone uno standard nelle misure, nel gusto, nei colori, nel prezzo, al quale tutti possono accedere. Se prima arredare una casa era una questione di tempo e fatica, ora Ikea riduce il tutto a una questione semplice, divertente: lo stile minimal rade al suolo ogni dubbio di gusto particolare, facilita la scelta. In un negozio Ikea c’è tutto il gusto moderno globale, per cui il cliente non avrà mai paura di essere escluso dall’onda dell’attualità, ma anzi si rassicura sentendosi protetto dal logo sinonimo di centralità. Si elimina del tutto lo spettro della periferia, della marginalità, l’opposto della visibilità – valore portante delle nostre giornate fatte di selfie. Ikea prende le differenze qualitative, le distanze morfologiche e le accorcia in un unicum semplice, accessibile, uguale, rapido che sia adattabile ad ogni uomo–massa. Proprio come un hamburger del Mc Donald. La comunicazione sistematica tra le differenze ha portato un allineamento del gusto e del modo di arredare, ogni verticalità intesa come diversità qualitativa si è ridotta ad un orizzontale e piatto modello sempre valido, senza distinzioni verticali di classi sociali. Il processo della fatica di produrre, assemblare, scegliere, comprare un mobile, quindi la profondità dell’azione che ogni pezzo richiede, lascia il posto alla superficialità di avere bell’e pronto un postulato di buon legno svedese sempre vero, confermato da tutti (come un virale post di Facebook), che gira attorno al mondo come la linea dell’orizzonte.

L’uomo è un hamburger del McDonald’s?

La nostra quotidianità omologata non accetta più diversità sostanziali, non accetta insomma di perdersi in qualche angolo buio della realtà. Punti lontani uniti. Si prenda ad esempio il vino: il gesto di fare vino, tradizionalmente, è frutto di una sapienza secolare, tramandata di padre in figlio, di un’intimità assoluta, di dedizione e fatica. Il gesto di bere vino implica altrettanta dedizione e sapienza, in modo da coglierne il senso, l’originaria ricchezza, la complessità, la storia particolare, è insomma un percorso sensoriale al quale bisogna dedicare del tempo, della preparazione, passando anche tra acidità sgradevoli e retrogusti impegnativi. Vale insomma nella totalità dell’esperienza, nella sua profondità, nella sua verticalità.

              Prendete un barolo di alto livello e bevete: facilmente sentirete una serie di sensazioni, se non sgradevoli, almeno faticose. Facilmente vi verrà da cercare la sponda di un qualche cibo proprio per ammortizzare quelle sensazioni. Al sorso dopo sarà già tutto cambiato (avete messo di mezzo, che so, un arrosto). E simultaneamente il primo sorso sta ancora lavorando e voi capite che gustare il vino è una faccenda che non riguarda tanto il primo sorso, o gli istanti in cui lo bevete, ma tutto il tempo dopo, la storia che il vino vi racconta dopo. Per tutta la cena fate un viaggio tra sensazioni che cambiano e vi impegnano, in qualche modo, e vi ricompensano.

 

Il vino moderno che riempie gli scaffali dei nostri supermercati, il vino “orizzontale”, è fatto per piacere a tutti, come l’hamburger del McDonald’s e come il mobile Ikea: è un vino centrale senza allusioni periferiche. «Gusto rotondo, molto semplice, senza spigoli; al primo sorso c’è già tutto». È un vino spettacolare, ossia visibile poiché comunica e, come tale, sposta il suo asse da verticale-periferico a orizzontale-centrale, globale. Per dirla con Baricco, «commercializzazione spinta uguale perdita dell’anima»; un vino che cerca «la via più breve e veloce per il piacere» e che diventa un bene accessibile alla moltitudine, di rapido consumo, omologato, in modo che chiunque ne usufruisca senta immediato coinvolgimento e soddisfazione, cadendo vittima di quella famosa idolatria delle merci che Pasolini denunciava già cinquant’anni or sono.

L’uomo è un hamburger del McDonald’s?

La linea dell’orizzonte sembra essersi imposta sul mondo odierno, sostituendo la verticalità dell’epoca precedente. Tutto è divenuto merce, tutto è divenuto accessibile, tutto comunica a livelli esponenziali: il centro ha inglobato la periferia. L’asse verticalità-fatica è diventato l’asse orizzontalità-comodità e l’iperedonismo, in cui al desiderio (nutrito nell’attesa) si sostituisce il piacere qui e ora, dilaga incontrastato.

Chissà che recuperare (dove si può, quando si può, se si vuole) un po’ di verticalità – entusiasmanti sono alcune proposte di differenziazione, dal cibo a progetti innovatori all’impegno sociale – riesca in qualche modo non a ribaltare l’orizzontalità – e perché mai dovremmo? ha i suoi tanti lati positivi! – ma se mai a conoscerla e quindi a viverla meglio. Prendendoci altri tempi meno fast, altre situazioni meno soft, così da gustarci in pace quando capita l’hamburger del McDonald’s e prenderlo, con riconquistata coscienza, per quello che è. Capendo quindi quello che noi non siamo.

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