L’uomo è il suo passato. Michele Mari tra “Dalla cripta” e “Cento poesie d’amore a Ladyhawke”
Michele Mari rientra a pieno titolo nella cerchia degli “ultimi poeti”. Abbiamo imparato a conoscerlo con la raccolta Cento poesie d'amore a Ladyhawke (Einaudi 2007). Nel febbraio 2019, Mari fa capolino nuovamente sulla scena poetica italiana con una raccolta completamente diversa rispetto alla precedente: Dalla cripta (Einaudi). L’immediatezza dei social è stato il palcoscenico ideale per far conoscere la poesia di Michele Mari: imperano prepotenti, infatti, molti stralci derivanti dalla sua prima raccolta. Alcuni versi dell’autore possono risultare fruibili e semplici se estrapolati contestualizzandoli in ambito social dove l’immediatezza fa da padrona; tuttavia, la poesia e il linguaggio di Michele Mari sono denotati da un’eterna danza in cui s’incontrano arcaismi e neologismi, un lessico classico e armonioso, uno stile d’altri tempi che affascina il lettore attento alla forma e non tedia quello meno esperto. Michele Mari è un cultore della lingua italiana, un estimatore della potenzialità insita nella sua grammatica. È proprio il connubio tra un lessico arcaico, la coscienza di una linguistica armoniosa e la propensione alla cura della struttura tematica e contenutistica attinta dalla ben più remota letteratura latina passando per il Dolce Stil Novo che porta Michele Mari a esser un abile giocatore di parole e creatore di melodie scritte.
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La prima raccolta poetica di Michel Mariaffronta una delle questioni più comuni del panorama poetico: l’amore. Facile cadere nel banale se si parla di un argomento trito e ritrito sin dai tempi di Catullo. L’abilità di Mari è coglierne le peculiarità del quotidiano: Il sentimento di un ragazzo per una compagna di classe che sentendosi non all’altezza decide di tener segreta una passione che lo pervaderà negli anni. Rincontrerà la ragazza ormai adulta, molto tempo dopo confessandole i suoi sentimenti e intrattenendo con lei una corrispondenza via e-mail. Se da un lato c’è un uomo che desidera un passo concreto nei suoi confronti dopo tanto struggersi e spasimare, dall’altro c’è una donna che non farà quel salto tanto bramato per timore di perdere tutto ciò che ha costruito nella vita fino a quel momento. Nel silenzio, cessa una storia amorosa che, a conti fatti, non era nemmeno mai iniziata. L’originalità di Michele Mari sta proprio nel non denotare oltremodo un tono melenso e tragico a un contenuto potenzialmente lirico; l’uso della parola e l’abilità dei giochi di lessico conducono a rendere un argomento banale fonte di originalità. Lo schema seguito da Michele Mari è quello di un racconto che ruota attorno a un tema, suddiviso, appunto, in poesie che se lette in maniera consequenziale costituiscono un sistema unitario riversandosi l’una nell’altra e scandendo ogni componimento, da quello precedente al successivo. L’esordio poetico di Mari mescola quindi la carnalità e la delicatezza della parola creando l’armonia di quello che si potrebbe definire un racconto lirico.
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La seconda raccolta poetica di Michele Mari, Dalla cripta, è incastonata in un’atmosfera d’altri tempi: pullulano gli omaggi alla tradizione poetica italiana, da Dante passando per Foscolo e Leopardi; anche in Cento poesie d’amore a Ladyhawke c’è un richiamo alle classiche strutture metriche oltre alla costruzione e all’uso di tòpos legati alla tradizione duecentesca: fra questi, il sentimento amoroso che passa attraverso gli occhi, tipica immagine legata alla tradizione stilnovista. Michele Mari in questa sua prima impresa poetica, usa sì una lingua antica e desueta ma il contrasto è il contenuto: una vicenda ambientata nella contemporaneità. Dalla cripta è invece incastonata in un’atmosfera vetusta, aulica. Ciò che tiene unite le poesie, in questa sua seconda opera, è la morte. L’unione dei componimenti è rappresentata infatti dalla fine della vita, un filo conduttore che percorre ogni verso e si riflette di conseguenza con la fine dell’esperienza amorosa e letteraria, al contempo. Attraverso questo viaggio letterario il poeta è chiamato a scendere nelle sue profondità e a scandagliarsi per ricercare un modo di amare che gli appartenga e una lingua, un lessico, capace di narrare quell’ ardore.
Donna gentile a l’amoroso guardo
ch’ognor beltade e più savere mostra,
i’ vo’ campar da la persona vostra
sí come quella a la cui face m’ardo;
e mora al dipartir non fora o tardo
lunge dai rai e dalla nivea chiostra
che sí mi volve in tormentosa giostra
più che l’agna dimembri aguglia o pardo:
ma fuggita, omè, che val, se priso
prisa da voi l’imago ne la mente
porto, lo stampo i’ dico del sorriso
cui pur pensando Amor mi fa dolente,
e ’n Inferno tornando ’l Paradiso
lagrime lassa a tanto strazio niente?
Con questo sonetto si apre Dalla cripta l’immagine della donna gentile che si nega e fugge, il sentimento amoroso vissuto come miracolo e il linguaggio aulico sono gli strumenti che Mari usa per narrare la sua esperienza amorosa che va di pari passo con quella letteraria Molte le critiche mosse nei confronti della raccolta Dalla cripta. La facilità in cui Mari è incorso nella disapprovazione è lapalissiana oltre che divertente: molti, conoscendo soloCento poesie d’amore a Ladyhawkee la fruibilità che frasi d’effetto di questa raccolta passavano per i social, hanno pensato bene di muovere accuse inerenti alla troppa prolissità del lessico utilizzato dal professor Mari I social sono ormai una vetrina, molte pagine a tematica letteraria si espongono, e il web decreta delle opinioni. Tra queste le più ridondanti sulla raccolta di Mari sono state le più ovvie: la diversità abissale e concreta fra la sua prima pubblicazione in versi e Dalla cripta. Una delle critiche mosse maggiormente è stata indirizzata all’uso di una lingua troppo aulica e ricca di tecnicismi, latinismi, arcaismi; un lessico non appartenente al tempo presente, quindi difficile e ricercato. Sarebbe questo uno dei motivi per cui, essendo già la poesia un genere di nicchia, allontanerebbe ulteriormente i lettori dal genere poetico. Un linguaggio complesso poi non risulterebbe fruibile e immediato, quindi non adatto al pubblico più giovane che non è avvezzo alla poesia ma lo è ai social. Le critiche mosse potrebbero anche avere un’attendibilità se non fosse che, Michele Mari, è sempre stato unaulico anche nel suo iniziale esperimento poetico.
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I lettori attenti dell’autore, che non hanno fatto la conoscenza di Mari solo via social e post, avranno sicuramente notato che Michele Mari è un musicante della lingua italiana. Uno degli ultimi. Il titolo che dà alla raccolta Dalla cripta ha, per l’appunto, un significato allegorico: è proprio da un tempo lontano e da una cripta ormai smorta e cigolante nel tempo che Mari riesuma un lessico poetico ormai in disuso per dare ilgiusto tributo e ricordare ciò che siamo stati, ciò che ancora è un privilegio essere. La cripta non è solo quell’antica tradizione letteraria costellata di sonetti ed endecasillabi, ma è anche il centro e l’area di un’interiorità nascosta al mondo esterno in cui Mari si cela e si scandaglia, ancora una volta, calandosi nell’aleggiare dei suoi fantasmi e trasponendo il suo mondo attraverso la lingua e i suoi tecnicismi. Questo vale delle critiche? Lo stesso Mari risponde, con uno dei suoi componimenti direttamente stampato sulla bianca copertina di Einaudi:
Frammenti di memoria, noi e voi,
precipiti nel nulla a capofitto
perché il passato è tutto, e siamo suoi.
Con questi versi, Michele Mari sottolinea ancora una volta l’importanza nel legame dell’uomo con il passato: nulla può essere senza il ricordo di ciò che si è stati.
Per la prima foto, copyright: Trust "Tru" Katsande su Unsplash.
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