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“L’uomo che salvò la bellezza”, Francesco Pinto ci racconta un “Monument Man” italiano

“L’uomo che salvò la bellezza”, Francesco Pinto ci racconta un “Monument Man” italianoL’uomo che salvò la bellezza (HarperCollins Italia, 2020) è il nuovo romanzo di Francesco Pinto, regista e dirigente televisivo che da qualche anno si dedica con successo alla narrativa, scrivendo romanzi intorno a fatti e personaggi epici del Novecento italiano: in La strada diritta (Mondadori, 2011), ad esempio, Pinto racconta l’incredibile costruzione dell’Autostrada del Sole, un percorso di 755 chilometri nato dal nulla e  realizzato in appena otto anni, mentre I giorni dell’oro (Mondadori, 2016) è dedicato ai protagonisti delle Olimpiadi di Roma del 1960.

Protagonista di L’uomo che salvò la bellezza è un altro eroe italiano poco conosciuto, Rodolfo Siviero (1911-1983), uno storico dell’arte che, arruolato come spia dal governo fascista e inviato in Germania nel 1938 a sorvegliare i nazisti, di cui lo stesso Mussolini esitava ancora a fidarsi dopo la recente annessione dell’Austria, scopre che alcuni gerarchi tedeschi progettano di appropriarsi di centinaia di opere d’arte sparse per l’Europa nell’intento di costituire la più grande raccolta museale mai esistita.

Tornato in Italia, Siviero si stabilisce a Firenze e da lì controlla i movimenti dello speciale reparto dell’esercito tedesco chiamato Kunstschutz (protezione dell’arte), che avrebbe dovuto cercare di preservare il patrimonio artistico dai danni della guerra, ma che si rivela in realtà incaricato di convogliare verso la Germania tutte le opere d’arte trasportabili. Alleatosi con la Resistenza partigiana, Siviero riesce a nascondere molti capolavori e a fermare i convogli diretti al nord: viene anche imprigionato e torturato, ma dopo la guerra continua per anni la sua opera di cacciatore instancabile, riportando in Italia un patrimonio dal valore inestimabile che era stato sottratto a diversi musei. La sua storia ricorda quella dei Monuments Men americani, celebrati dallo scrittore americano Robert Edsel in due volumi usciti pochi anni fa, e portati sul grande schermo dall’omonimo film diretto e interpretato da George Clooney.

Abbiamo fatto qualche domanda a Francesco Pinto sulla nascita di L’uomo che salvò la bellezza.

 

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Come è venuto a conoscenza della storia di Rodolfo Siviero e perché ha deciso di farne il protagonista di un romanzo?

Io scrivo storie di eroi e di imprese impossibili. Contrariamente a quello che diceva Brecht, credo che i tempi cupi abbiano bisogno di eroi, di persone che abbiano messo in gioco anche la propria vita per salvare la dignità di un paese. Il movente che mi ha spinto a scrivere di lui è curioso: conoscevo già di fama Siviero, ma tempo fa, leggendo il copione della trasmissione di Alberto Angela su Pompei, ho trovato una citazione di Siviero, che però era errata, addirittura con un nome diverso. Andando a controllare mi è venuta l’idea di raccontare la storia di questo personaggio, per cui posso dire di averlo scelto abbastanza per caso.

Di storie di questo genere ne avremmo tante da raccontare, perché io credo che l’Italia sia un paese migliore di come ci viene raccontato. Però bisogna dire che queste storie sono perlopiù ignorate: noi italiani abbiamo una sorta di strano meccanismo con la nostra storia, per cui ne ignoriamo gli aspetti epici, cosa che invece appartiene tanto agli anglosassoni.

“L’uomo che salvò la bellezza”, Francesco Pinto ci racconta un “Monument Man” italiano

Questa è la quarta volta che scrive un romanzo partendo da personaggi e fatti della nostra storia recente. Come si conciliano nella scrittura l’esigenza di non allontanarsi troppo da una realtà ancora molto vicina e la creatività propria del romanziere?

Io provo a raccontare delle vicende che rispettino tutto il quadro storico e a volte sono persino un po’ maniacale: per questo libro sono stato una settimana a Erfurt, la città tedesca dove Siviero viene inviato come spia, per vedere di persona i luoghi e le strade in cui lui si muove. Poi, mettendo insieme i pezzi qualcosa procede anche per conto proprio, ma per scrivere così bisogna prima di tutto fare una ricerca storica importante, quindi verificare di persona i luoghi reali.

Il bello è che, mescolando fatti reali e invenzioni, spesso sono i primi ad apparire più fantasiosi: le mosse più azzardate che compie Siviero nel libro sono tutte accadute veramente. È curioso poi che gli editor, a volte, cerchino di farmi modificare i fatti reali che racconto, sostenendo che non siano credibili … Ma queste sono state vite vere, piene e importanti, mentre oggi ci siamo abituati a vite vuote, fatte di poche cose.

L’Italia per me non è il paese che ci stanno raccontando oggi, è fatto di cose e persone migliori. La nostra generazione, purtroppo, è la prima che sta consegnando ai giovani un paese peggiore rispetto a quello che ha ricevuto dalla generazione precedente, e di questo un po’ si vergogna, per cui preferisce sorvolare sul passato recente che era migliore dell’oggi. Io invece penso che queste storie di eccellenze vadano raccontate e fatte conoscere, soprattutto ai giovani.

Siviero e tanti altri sovrintendenti hanno salvato l’arte italiana, che costituisce gran parte della nostra identità. Però nessuno li ricorda, non ci sono strade o piazze intitolate a loro mentre siamo ancora pieni di vie dedicate a Vittorio Emanuele III e a Cadorna. La letteratura italiana contemporanea, tra l’altro, è personale, introspettiva e piena di romanzi gialli, per cui sembra che ogni giorno in Italia ci siano dozzine di omicidi, ma mancano del tutto gli eroi, l’epica.

 

Ha mai pensato di scrivere un romanzo storico ambientato in epoche più remote del Novecento?

Penso che il Novecento sia stato il secolo più barbaro e splendente della storia, zuppo di sangue e di imprese, di bellezza e di una società imponente, pesante, che si è frantumata nel post moderno. per cui penso che ci sia ancora veramente tanto da raccontare. Magari un giorno potrebbe capitarmi di interessarmi ad altro, ma per ora vorrei continuare a scrivere sul Novecento del nostro paese, di cui tra l’altro a scuola si studia veramente troppo poco: andando nelle scuole mi rendo conto che i ragazzi non sanno mai nulla della seconda metà del Novecento, dal secondo dopoguerra in poi.

“L’uomo che salvò la bellezza”, Francesco Pinto ci racconta un “Monument Man” italiano

Lei ha avuto una lunga e importante carriera alla Rai. L’aver lavorato per decenni con le immagini influenza in qualche modo la sua scrittura?

Io quando scrivo vedo, e provo a scrivere in modo tale che i lettori vedano le cose insieme a me. Questa è senz’altro una mia deformazione professionale, perché descrivendo una scena la penso come un’inquadratura. Anche per questo devo vedere i luoghi di cui parlo.

 

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L’uomo che salvò la bellezza potrebbe diventare una fiction televisiva, o magari un film, pensando anche al grande successo ottenuto qualche anno fa da Monuments Men? C’è un attore che le piacerebbe vedere nei panni di Rodolfo Siviero?

Non ne ho idea, anche se naturalmente mi piacerebbe, soprattutto perché vorrei che una storia come questa fosse conosciuta da più gente possibile. Lavorando in Rai mi capitava di parlare con autori che si vantavano di aver fatto un prodotto di qualità perché era stato visto da pochi spettatori, e per me questa è un’enorme bugia: ogni autore, scrittore o regista, vuole che la sua opera abbia il maggior pubblico possibile, il resto sono chiacchiere. Ci vedrei un attore con il carattere di Toni Servillo, che però è troppo vecchio per il personaggio: Siviero all’epoca era molto giovane, così come la maggior parte degli eroi di questa storia. A quell’epoca si maturava in fretta.

 

Dopo aver recuperato le opere trafugate dai nazisti, Siviero si è battuto per decenni per difendere l’arte dai ladri di ogni genere, ma anche oggi la situazione è tutt’altro che rassicurante. Si dovrebbe fare di più per tutelare l’immenso patrimonio artistico italiano?

Sicuramente! La prima cosa da fare sarebbe recuperare le migliaia di reperti che risultano scomparsi: alcuni saranno sicuramente andati perduti, ma molti si trovano di sicuro in collezioni private o nei caveaux delle banche. L’arte costituisce l’identità di un paese, e come tale andrebbe tutelata molto di più di quanto non si faccia attualmente.


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