L’unità d’Italia: quel giorno a Genova
Immaginate di avere risposto con convinzione all’arruolamento dei volontari e oggi vi trovate a Genova. Forse avete bisogno di uno scossone nella vostra vita, forse per un ideale che vi graffia l’anima da anni, forse sognate la gloria, forse sentite ch’è giusto farlo, punto.
***
Ci sono persone di tutte le età, ragazzini e anziani, e dai capannelli si sentono lingue incomprensibili, come in quel gruppo di uomini vestiti in modo strano, non sono di certo torinesi. C’è tanto entusiasmo, una parola rimbomba spesso forte e chiara: Italia.
Alcuni mi hanno detto che sono accorsi qui da ogni dove, dal Regno, certo, ma anche da Milano e Brescia, da Bergamo e Como, ci sono siciliani, trentini, veneti. Chi sta organizzando la partenza si dà un gran da fare per trasmetterci fiducia.
A momenti si parte, ci siamo finalmente, dopo alcuni giorni di preparazione. Quando passa lui, a una decina di metri da me, ho un brivido, ha al collo un fazzoletto colorato e si copre con un poncho, lo vedo salire sul Piemonte. Ci fanno salire a turno anche noi coi canotti, chi con lui e chi nel Lombardo.
La notte è illuminata dal chiaro di luna, c’è una leggera brezza e mille domande mi pervadono la mente. Sto facendo la cosa giusta? Ce la faremo? E se fossi ferito? E se perdessi la vita che cosa ne sarà dei miei figli? Sono oramai uomini, penso ai miei splendidi nipoti. Per loro sono qui, anche per loro. Ora non è più importante la tranquillità famigliare, anzi non è più importante la tranquillità, dobbiamo aiutare i nostri fratelli oppressi.
Le sue parole: «Colla parola, coll’oro, coll’armi e soprattutto col braccio!».
La prima notte in mare trascorre cantando e discutendo, poi ci si addormenta, la stanchezza prevale. La mattina successiva parlo il più delle volte coi miei vicini di posto, torinesi pure loro, ma si cerca di comunicare con gli altri, aiutandoci coi gesti. Ci si capisce sempre in qualche modo, a fatica solo di rado. Quanta unità fra noi. Quanta unità. Non è difficile capire che ci sono avvocati e operai, commercianti e artigiani, studenti e ingegneri, carabinieri e artisti. Poco distante da me c’è un sacerdote, che parla di Dio e del suo amore per noi.
Che bello il mare, luccica.
Si va verso la Toscana, dicono, dove troveremo armi e altro che servirà per lo sbarco. La giornata passa pensando, parlando, cantando. Penso ai miei figli e ai miei nipoti, e a mia moglie lassù in cielo da tre anni, sarebbe fiera di me; penso a chi soffre di mal di mare e non lo sapeva; penso che stare in piedi non è comodo e allora ci diamo il turno per calmare la debolezza; penso che ho fame e sete, ci dicono di avere pazienza, che presto avremo pane, carne e riso, oltre che acqua fresca.
Il tempo è lento, le onde mi coccolano, le stelle, di notte, mi abbracciano. A Talamone ci fanno scendere, ci organizzano in miglior modo, dobbiamo dare i nostri nomi, uno a uno. Da adesso in poi ci sono squadre, con ufficiali e sottufficiali.
Tornati a bordo, tutto mi sembra più disciplinato, distribuiscono le armi e mi consegnano venti cartucce. Regna la spensieratezza, c’è un affratellamento nel segno degli ideali comuni.
***
In Sicilia c’è il regno borbonico, che possiede un esercito di più di 60.000 uomini, una flotta di 22 navi a vapore e 10 a vela, e nella regione 25.000 uomini con cavalleria e artiglieria, circa 20.000 di questi presidiano Palermo.
Nessuna persona con un minimo di buon senso avrebbe creduto in un’impresa simile, Garibaldi ci credeva.
[Il post, inventato dal punto di vista del volontario, cita fatti storici confermati, tratti dal libro “Giuseppe Garibaldi” di Alfonso Scirocco, editori Laterza]
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