L’orrore nel quale ogni tanto ti risvegli. “Il risolutore” di Pier Paolo Giannubilo
Il risolutore, ultimo romanzo di Pier Paolo Giannubilo (Rizzoli), è uno dei dodici semifinalisti del Premio Strega. Un libro che, in poco meno di cinquecento pagine, si avventura nella vita incredibile di Gian Ruggero Manzoni, del quale il narratore ammette che, all’inizio, ne sapeva davvero poco.
«Su di lui sapevo che era scrittore e artista poliedrico, nobiltà decaduta, posizioni vagamente fascio comuniste, un arresto per motivi politici nel ’77, voci intorno a una sua presunta attività di informatore per le Forze armate italiane. Cosa significasse nel concreto il termine ‘informatore’ lo ignoravo del tutto. E non immaginavo nemmeno lontanamente la mole di enormità di cui, lavorando a questo romanzo, sarei venuto a conoscenza.»
Da qui parte la storia: un primo incontro quasi casuale fra il narratore e Manzoni nel 2004, poi uno nel 2008 e altre intercettazioni involontarie fra i due nel corso degli anni successivi. Nel frattempo al narratore accadono alcune tragedie personali (non ultima, la morte della madre), a cui segue la fatidica intervista fiume che servirà da materiale per la costruzione del romanzo, nel quale viene ricucita e ricostruita tutta la storia di Ruggero Manzoni, dalla sua scapigliata giovinezza al maturo ruolo d’informatore delle Forze armate.
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Il cuore del libro è qui: nella lenta ma chiara trasformazione del termine informatore in quello di risolutore, che dà titolo e senso al romanzo. Risolutore è colui che risolve: questioni spinose, questioni che altri non sanno e non vogliono sistemare o chiudere. E Manzoni, che da giovane aveva frequentato il DAMS di Bologna insieme ad artisti del calibro di Andrea Pazienza e Pier Vittorio Tondelli, è questo: un uomo che risolve. All’insaputa degli altri, inizialmente all’insaputa anche di se stesso.
Un uomo che, per pagare un debito contratto con la giustizia proprio nel corso dei suoi anni bolognesi, si vedrà trasformato in un militare dormiente: una persona come tante altre, con l’unica differenza, impercettibile agli occhi degli altri, che da un momento all’altro potrà ricevere una telefonata da una voce anonima che gli comunicherà di trovarsi fra tre ore al binario cinque della stazione X, dove verrà prelevato da un uomo col cappello a larghe tese eccetera eccetera.
Ma Ruggero Manzoni non è soltanto questo: è anche un artista, come alcuni suoi avi più noti: oltre al celebre e celebrato Alessandro, autore dei Promessi sposi, anche lo zio Piero, uno dei pittori italiani più apprezzati del nostro Novecento. Ed è soprattutto un uomo che vive la propria vita non subendola, ma attraversandola come un cavallo in corsa: una sorta di lord Byron moderno, che alterna il trascorrere del suo tempo fra notti al pub, continui amori clandestini con donne disperate, droga e alcol e presentazioni di libri, mostre di pittura e avanguardie artistiche e poi quei silenti viaggi all’estero con l’obiettivo di risolvere una scomoda questione internazionale.
Popolato da personaggi vividi ma crepuscolari come certe eminenze grigie degne delle migliori stagioni di X-files, “girato” fra Bologna, Lugo di Romagna, Roma ma anche Milano, Marsiglia, Beirut, la ex Jugoslavia e altri avamposti di guerra e morte, Il risolutore, di Pier Paolo Giannubilo, è un libro che solo in apparenza parla della doppia vita di un uomo che, con la sua dormienza, attraverserà tragedie e stragi come quella della stazione di Bologna, la guerra in Libano e quelle nei Balcani. In realtà è una sorta di specchio o simbolo di ciò che è stato davvero il Novecento, con le sue contraddizioni che allungano le loro propaggini fino ai giorni nostri.
Come scrive il narratore, a poche pagine dalla fine, mentre allinea davanti a sé tutti i cataloghi che possiede su Manzoni:
«Sfoglio fotografie di pastelli a olio, carboncini di pitture a sanguigna, biacca, smalti e catrame su tela, legno combusto, lastre di metallo, pelle, cuoio, cartone. Per quanto mi impegni, non riesco a vedervi altro che stilizzazioni di massacri, raffiche di Uzi e kalashnikov, ritagli di sheol, la psiche ossidata di uno sbruffoncello di paese preso al lazo da qualcosa di più grande di lui e diventato una cavia umana per cinque lustri, metà della sua vita.
Ai critici d’arte pare invece che quei quadri raccontino altro. Cosmogonie, creature fantastiche che ricordano folletti, elfi e druidi, simbolo della Sehnsucht di Manzoni per epoche e cicli naturali perduti per sempre. Che testimonino il rimpianto del paesaggio romagnolo della sua infanzia. […]. La malinconia che lo coglie davanti alla bellezza di ciò su cui la modernità ha prevalso.»
Il Gian Ruggero Manzoni di Giannubilo è un funambolo che si muove fra la coscienza dell’eroe e la consapevolezza desolata dell’antieroe, ruolo che cercherà di scordare sempre proprio attraverso le sue notti brave, attraverso il sesso a volte compulsivo, attraverso lunghi momenti d’insonnia e di dormiveglia popolati da incubi inenarrabili.
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E così, nel Risolutore, Pier Paolo Giannubiloha saputo costruire un sapiente intreccio fra la storia personale del protagonista, quella del narratore e i dubbi, gli orrori e le incongruenze di un pezzo imponente del secolo passato. La cui violenza è arrivata fino a noi e ci sveglia, senza darci il tempo d’interrogarci se ciò che stiamo per fare è giusto o sbagliato. Senza darci il fiato per null’altro che non sia agire, in nome di qualcosa che non capiamo e non capiremo mai.
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