L’Isis, versione ultravioletta e macabra dell'Occidente. Intervista a Francesco Borgonovo
Francesco Borgonovo, caporedattore di «Libero» e autore de La Gabbia, talk show politico in onda su La7, in Tagliagole. Jihad Corporation (Bompiani, 2015) racconta il mondo dell'Isis e le ragioni del suo successo, da ricercare nelle efficaci tecniche di propaganda, nei video, professionali ed emozionanti, che mostrano conoscenza di videogiochi e pellicole hollywoodiane, nell'innovativo sistema di affiliazione “in franchising”.
In Tagliagole Borgonovo parla della forza dello Stato Islamico, innovativo e molto più potente degli altri fenomeni jihadisti, compreso Al-Qaeda, della rete del terrorismo islamico estesa a livello globale e soprattutto degli errori del mondo occidentale. Gli abbiamo rivolto delle domande per cercare di comprendere più a fondo la natura di questi errori e il segreto del successo che il Califfo sembra riscuotere in tutto il mondo.
In Tagliagole. Jihad Corporation lei immagina il Califfo come «un personaggio che fonde l'ultramodernità liquida della finanza alla ferocia antica del jihad». È questo il segreto del suo “successo”?
Senz'altro. Lo abbiamo visto. Una commistione di elementi che sono in pratica occidentali: l'utilizzo delle nuove tecnologie, di internet e dei social network per la propaganda, il fatto che i video, i filmati dello Stato Islamico assomiglino tantissimo alle serie tv, ai film di Hollywood. Perfettamente occidentali e comprensibili soprattutto a chi è nato e cresciuto qui. Poi c'è l'elemento esotico, antico e feroce del jihad, che caratterizza la religione musulmana fin dall'inizio. Ne costituisce uno dei fondamenti. Tutto ciò consente al Califfato di avere il successo che continua ad avere anche in Europa, Stati Uniti e in tutto il resto del mondo.
Il Califfo è stato indicato come 54° nella lista di «Forbes» degli uomini più potenti del globo. Riconoscere la sua potenza non equivale un po' ad ammettere implicitamente la sconfitta?
No. Nel senso che riconoscere al Califfo un'influenza e del potere non vuol dire farsi sconfiggere ma ravvisare che c'è un avversario pericoloso e che ci può mettere in difficoltà.
«Lo Stato Islamico è uno specchio oscuro dell'Occidente». Perché?
Perché utilizza strategie culturali che sono tipiche dell'Occidente e le ribalta contro di noi. Le sfrutta per fare proselitismo, propaganda... non è il totalmente altro da noi, il diverso, lo è solo in superficie. In realtà impiega tantissimi modi propri del mondo occidentale, anche espressioni tipiche del linguaggio. È una versione ultravioletta e macabra dell'Occidente.
Uno dei mezzi più sfruttati dall'Isis è proprio la propaganda, al pari di tanti dittatori come ci insegna la Storia ma anche delle multinazionali, come invece sottolinea lei stesso nel testo. La nuova minaccia del terrorismo internazionale è una grande operazione di marketing?
È anche una grande operazione di marketing. Il Califfato vende un prodotto, che è la guerra santa, e lo fa con strategie quali la pubblicità. Ma poi, in realtà, c'è una guerra vera che si sta combattendo non solo in Siria ma soprattutto nel cuore dell'Europa, in Libia, in Tunisia, in Nigeria... c'è un aspetto di marketing ma ce n'è anche un altro drammaticamente reale, ovvero quello della guerra combattuta sul campo, che uccide degli innocenti. Lo abbiamo visto a Parigi, al Bardo in Tunisia...
Quali sono i reali punti di forza dello Stato Islamico, che gli hanno permesso, ad esempio, il salto che è mancato ad Al-Qaeda?
Intanto il fatto di essere uno Stato, di avere un territorio. Ciò gli ha permesso di istituire un Califfato regolato dalla legge islamica. Poi c'è la propaganda, molto simile a quella che faceva Al-Qaeda ma amplificata, con l'aggiunta di contributi che vengono da giovani esperti, diversi cresciuti in Europa, che si mettono al servizio dello Stato Islamico e portano know-how anche tecnologico. L'altro, forse quello principale, è la debolezza dell'Europa di fronte alle sirene jihadiste, la totale e irresponsabile mancanza di una risposta netta. Loro avanzano e noi arretriamo. Non solo rispetto al Califfato ma a tutta la religione islamica in generale.
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Perché l'Occidente ha difficoltà ad ammettere la natura religiosa dell'Isis?
L'Occidente, inteso in senso giornalistico, ovvero Stati Uniti, Europa e tutti i Paesi anglofoni, ha bandito la religione dal discorso pubblico e quindi noi guardiamo con occhi sbagliati ciò che avviene. Pensiamo, in considerazione del fatto che a noi della religione non importa più nulla, debba essere così per tutti. Mentre per lo Stato Islamico non è così. Noi abbiamo paura perché siamo la terra del politicamente corretto, che abolisce il pensiero critico e, per non offendere le minoranze, in questo caso quella islamica, approva questa pazzia chiamata islamofobia, la presunta persecuzione in Occidente dei musulmani. Per non offendere, si evita di dire che il Califfato ha un legame con l'Islam. Ma sono i terroristi a gridare “Allah Akbar” e non lo fanno perché sono folli bensì perché vanno al martirio. Sono sempre loro a citare, per analogia, il Corano. Loro stessi si chiamano “Califfato”, quindi Stato Islamico. C’è un costante e continuo richiamo alla religione islamica e nasconderlo, utilizzando altre parole, equivale a non capire cosa esattamente ci troviamo di fronte e ad essere quindi disarmati.
Lei afferma nel libro che Boko Haram è il migliore alleato dello Stato Islamico e che è stato sottovalutato. Perché?
È uno degli alleati. È molto forte. È la versione centrafricana del Califfato. Era un movimento oscuro e relativamente povero, rispetto agli altri fenomeni jihadisti, ma l'essersi appoggiato al Califfato lo ha rafforzato. Ma noi li abbiamo sottovalutati tutti: in Tunisia, nel Maghreb... continuiamo a sottovalutarli nel territorio della ex Jugoslavia. A un certo punto abbiamo pensato che con la morte di Bin Laden il terrorismo islamico fosse finito. In realtà non era affatto così.
Quindi il Califfo non agisce da solo ma esiste una rete di alleati?
C'è una rete jihadista globale di movimenti, alcuni dei quali esistono da tanti anni, che hanno semplicemente trovato un nuovo marchio. Usano la bandiera del Califfato per unirsi trovando maggiore pubblicità. Il Califfato ha compiuto degli attentati nel cuore dell'Europa e quindi si è fatto notare a livello globale. C'è una rete ma non è necessario che ci sia. Oggi chiunque può tranquillamente radicalizzarsi scaricando del materiale da internet, convertirsi all'Islam e compiere un attentato. Non conosciamo i reali rapporti tra i vari movimenti jihadisti, di sicuro c'è che sono in tanti e agiscono per uno scopo comune, ovvero la guerra ai non islamici. Ci sono anche tanti singoli che agiscono per varie motivazioni, anche personali, ma collaborano a questo scopo, ovvero annientare gli infedeli.
Nel libro si sofferma anche a parlare degli effetti controproducenti degli aiuti umanitari. Cosa si dovrebbe fare invece?
Semplicemente lasciare che i vari Paesi agiscano come i loro popoli ritengono sia meglio. Smettere di imporre la visione occidentale di sviluppo, di crescita. Smettere di regalare un sacco di soldi a governi corrotti che non li usano per i loro cittadini. Lasciare che ciascun Paese si amministri da sé.
Quali sono le reali condizioni di vita nei territori conquistati dal Califfo?
Sono quelle di un territorio in guerra, bombardato e governato dalla legge islamica. Le donne vanno in giro coperte, scortate da uomini, o ancora meglio non vanno in giro. I commercianti devono pagare una tassa allo Stato Islamico. Gli infedeli non sono tollerati.
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