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L’Isis è uno Stato totalitario, versione più brutale, illiberale e violenta della dittatura

Maurizio Molinari, Il Califfato del terroreDopo l’attentato alla redazione parigina di «Charlie Hebdo», che pochi giorni fa ha annunciato lo stop delle pubblicazioni fino a data da destinarsi, e i massacri di Boko Haram in Nigeria, l’attenzione dell’Occidente sullo Stato Islamico, l’Isis, è diventata ancora più forte.

Ne abbiamo parlato con Maurizio Molinari, inviato a Gerusalemme per «La Stampa» e autore del recentissimo Il Califfato del terrore. Perché lo Stato Islamico minaccia l’Occidente edito da Rizzoli.

 

Nel suo Il Califfato del terrore. Perché lo Stato Islamico minaccia l’Occidente ha giustamente messo in evidenza il valore strategico regionale dello Stato Islamico. Quanto sta succedendo oggi in Medio Oriente può essere inteso anche come un conflitto interno all'Islam?

Gli sconvolgimenti in atto in Nordafrica e Medio Oriente sono la cartina di tornasole di un conflitto interno all’Islam. A descriverlo, con grande chiarezza, è stato il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi nel discorso pronunciato a fine dicembre davanti agli “Ulema” – i saggi dell’Islam – dell’Università cairota di Al-Azhar, uno dei maggiori centri di studio dei sunniti. «Abbiamo bisogno di una rivoluzione religiosa» ha detto al-Sisi, sottolineando la necessità di sradicare il jihadismo dall’Islam, definendolo come «un pensiero e non una religione». Usare il termine “pensiero” per il jihadismo significa giudicarlo slegato dalle radici dell’Islam, ovvero un’ideologia. È questa ideologia che spacca l’Islam. C’è una minoranza di fanatici, estremisti, che l’ha fatta propria al fine di creare una società perfetta, purificata dagli “infedeli” ovvero cristiani, ebrei, indù, buddisti, atei e tutti i musulmani che non la pensano come loro.

Tale ideologia nasce con i Fratelli Musulmani, fondati da Hassan al-Banna in Egitto nel 1928, che ripudiano il modernismo, l’Occidente e perseguono l’applicazione letterale della Sharia, la legge islamica. Da allora i Fratelli Musulmani hanno generato una galassia di sigle, gruppi, organizzazioni e movimenti arrivati alla fine del Novecento a esprimere la Jihad islamica, Hamas e Al Qaeda di Obama bin Laden. È interessante notare che il manifesto di Al Qaeda sulla guerra «contro i crociati e gli ebrei», ”, pubblicato nel 1998, che pone le basi per gli attacchi dell’11 settembre 2001 agli Stati Uniti, nasce dal patto con la Jihad islamica egiziana. Hamas a Gaza è il ramo palestinese dei Fratelli Musulmani, presenti in diversi Paesi arabi con denominazioni differenti. 

Abu Bakr al Baghdadi trasforma tale ideologia in uno Stato totalitario, ovvero il suo Califfato che si estende fra Siria e Iraq. È la dimensione statuale che lo rende più pericoloso, e temibile, rispetto ai predecessori. Il conflitto interno all’Islam oppone tali jihadisti a una massa umana di quasi 1,6 miliardi di persone che in gran parte non ne condivide l’ideologia. Ma, come spesso avviene nella Storia, le minoranze più combattive e ideologicamente motivate riescono a imporsi. Anche grazie alle “zona grigia” – come la chiamava Primo Levi – ovvero coloro che assistono, comprendono, sanno ma tacciono consentendo alle minoranze barbariche di dominare. L’interesse dell’Occidente è che la “rivoluzione religiosa” di cui parla Al-Sisi avvenga, riuscendo a isolare, sconfiggere ed eliminare l’ideologia jihadista dal seno dell’Islam.

 

Particolarmente interessante nel libro è la distinzione tra la jihad da esportazione di Osama bin Laden e la jihad totalitaria di al-Baghdadi. Una jihad totalitaria che fa leva su vari elementi: violenza/repressione (lei stesso parla di malvagità calcolata), interpretazione letterale della legge, gestione efficiente del potere e uso di un vocabolario molto ben studiato (basti pensare alla scelta di parole come "califfo" e "califfato"). Possiamo affermare che sono messi in gioco gli elementi di una qualunque dittatura, oppure c'è qualcosa di diverso?

Il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi è uno Stato totalitario ovvero la versione più brutale, illiberale e violenta di una dittatura. La Storia non si ripete mai alla stessa maniera e dunque ciò che differenzia questo Stato totalitario dai precedenti del Novecento – la Germania di Adolf Hitler, l’Urss di Iosif Stalin, la Nord Corea di Kim Il-sung – è l’avere basi religiose, trovare la sua legittimità nel testo fondante di una delle tre grandi fedi monoteistiche.

Il parallelismo con Hitler e Stalin sta nel fatto che i jihadisti si propongono di creare un “nuovo uomo” – nel caso specifico un “nuovo musulmano” –, eliminano fisicamente e in massa qualsiasi avversario, puntano a estendere il proprio dominio su scala globale, adoperano le forme più orrende di violenza per imporsi sulle popolazioni che dominano e cercano però anche di ottenere consenso facendo leva su buona amministrazione e distribuzione di beni di prima necessità.

E ancora: il nazismo non rappresentava l’intera Germania come il bolscevismo non rappresentava l’intera Russia e il jihadismo non rappresenta l’intero Islam. Ma la differenza, cruciale, sta nell’elemento della fede che assegna al Califfato una dimensione planetaria. I jihadisti sono convinti di poter contagiare con la propria ideologia l’intero Islam. Per questo il loro primo nemico sono gli sciiti: puntano a sterminarli per eliminare fisicamente la scissione che avvenne dopo la morte di Maometto, arrivando alla fusione totale – e totalitaria – fra sunniti ed Islam.

Un uomo che si presenta come Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico

 

Il radicamento in Medio Oriente dell'Isis segue due strade: terrore e ricostruzione, con la riattivazione di centrali elettriche, dighe e pozzi petroliferi, secondo quello che lei descrive come un mix di servizi religiosi e servizi sociali. Sul medio e lungo termine, quanto questo potrebbe incidere positivamente sull'accoglienza dello Stato Islamico da parte delle città conquistate?

Lo Stato Islamico ricorre alla buona amministrazione per ottenere la collaborazione della popolazione civile che risiede nei circa 250mila kq che controlla. Si tratta di 10-12 milioni di persone. Poiché i miliziani del Califfo sono circa 30mila – anche se c’è chi si spinge a dire che sarebbero 250mila – la collaborazione dei civili è indispensabile per edificare lo Stato della Jihad. Da qui l’impegno per far arrivare acqua, elettricità e pane a ogni famiglia – a costi stracciati se non totalmente gratis – come anche la creazione di tribunali che «raccolgono le lamentele pubbliche» perfino sulla «qualità dei cibi». Il Califfo ha bisogno di medici, infermieri, insegnanti, amministratori e contabili per edificare lo Stato Islamico e tenta di legarli a sé presentandosi come un governo più vicino ai bisogni basilari della popolazione rispetto alle dittature di Bashar Assad e Saddam Hussein. Questo tassello della “ricostruzione” è complementare a quello del terrore, che si declina in decapitazioni, esecuzioni di piazza e brutalità di ogni genere. Il fine è stringere ogni famiglia fra due interessi convergenti: non incorrere nella repressione e sfruttare la buona amministrazione, evitare la morte e giovarsi di pane e luce. Per il Califfo è questa la ricetta per ottenere obbedienza collettiva, e assoluta.

Isis

 

Tra gli Stati che il Califfato mira ad annettere nella rinascita di Bilad al-Sham, ci sono, tra gli altri, Iraq, Siria e Giordania. Come si situano in questo contesto la primavera araba e le guerre civili in atto in Siria e Libia?

Quasi la metà della Siria e oltre un terzo dell’Iraq sono già parte del Califfato, che preme ora sulle frontiere di Libano, Giordania e Arabia Saudita puntando a espandersi perché ha dei confini che – per definizione – sono mobili, in movimento per acquisire sempre un maggior numero di terre e popolazioni. Ma non è tutto perché l’adesione, volontaria, allo Stato Islamico da parte della città libica di Derna, dei jihadisti di Bayt al-Maqdis del Sinai e di Boko Haram in Nigeria lascia intendere che, anche lontano dall’area di Biladi al-Sham, il Califfo prova a mettere radici. Egitto e Libia a tale riguardo appaiono le nazioni più vulnerabili, per via dell’esistenza di un network di gruppi salafiti assai radicato e ben armato.

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Maurizio MolinariLa ricostituzione di Bilad al-Sham dovrebbe includere anche Israele e l'Autorità nazionale palestinese. Come si vive oggi a Gerusalemme con la consapevolezza che l'Isis sta avanzando?

Israeliani e palestinesi restano divisi da un conflitto centenario di cui non si intravede ancora la conclusione ma è altresì vero che ad accomunarli c’è la minaccia dello Stato Islamico e, più in generale, del jihadismo. Il Califfo persegue la «conquista di Gerusalemme» come obiettivo identitario ovvero la distruzione di Israele è una ragion d’essere ma al tempo stesso le sue cellule – scoperte a Hebron e Nazareth – minacciano l’Autorità nazionale palestinese, considerata laica, corrotta, al servizio dell’Occidente ed espressione di quel nazionalismo arabo che il jihadismo vuole azzerare. A evidenziare tali convergenze c’è quanto avvenuto dopo Har Nof e dopo Parigi. La strage della sinagoga di Har nof, a Gerusalemme, è stata commessa da due palestinesi imbevuti di jihadismo e la reazione di Israele è stata, con il presidente Reuven Rivlin, in un appello contro la «guerra santa fra ebrei e musulmani» ripetuto, praticamente con gli stessi termini, dal presidente palestinese Abu Mazen. E dopo gli attacchi terroristici di Parigi a «Charlie Hebdo» e Hyper Cacher il premier israeliano Benjamin Netanyahu e Abu Mazen hanno sfilato assieme su la Place de la Republique. La minaccia del Califfo è a tal punto reale e brutale da spingere israeliani e palestinesi a fare fronte comune. Pur mantenendo differenze e dispute sul conflitto che continua a lacerarli.

 

La Turchia, che avrebbe dovuto essere uno Stato ponte tra l'Occidente e il mondo islamico, con Recep Tayyip Erdoğan sembra sempre più trovarsi a vivere una contraddizione tra anelito all'Islam fondamentalista e la volontà di aderire all'Unione europea. C'è da aspettarsi un'alleanza aperta tra Turchia e Stato islamico? Oppure anche la Turchia rischia di essere conquistata e annessa?

Si tratta della domanda, in questo momento, più importante. Il motivo è che lo Stato Islamico è al centro di uno scontro per la supremazia dell’Islam sunnita. Da una parte ci sono Arabia Saudita, Egitto, la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti che si sentono minacciati dai jihadisti, li hanno messi fuori legge e li braccano come terroristi. Dall’altra ci sono gli unici due Stati sunniti che invece mostrano attenzione, se non sostegno, per Fratelli Musulmani, Hamas e altri gruppi jihadisti: Qatar e Turchia. Il Qatar è stato pubblicamente accusato da Washington di consentire l’afflusso di capitali privati allo Stato Islamico e solo la forte pressione di sauditi ed Emirati ha spinto Doha alla marcia indietro. Sempre a Doha erano ospitati i leader dei Fratelli Musulmani esuli dall’Egitto e quando sono stati invitati ad andarsene, a fine dicembre, la destinazione è stata Istanbul.

Ovvero la Turchia di Erdogan che, secondo l’opposizione nel Parlamento di Ankara, ha favorito la creazione e il rafforzamento dello Stato Islamico (Isis) nel tentativo di accelerare la caduta di Bashar al-Assad in Siria. Nel 2012-2013 il regime di Assad, sostenuto dall’Iran e da Hezbollah, era riuscito a ottenere importanti successi militari ed è stato Isis a invertire tale tendenza. Isis opera a cavallo delle frontiere turche, sfrutta i trafficanti turchi per vendere greggio sul mercato nero, il territorio turco per far transitare i jihadisti europei e c’è anche chi sospetta che le armi gli arrivino da terzi attraverso la Turchia.

L’impressione è che Erdogan abbia una strategia di lungo termine: sfruttare i gruppi fondamentalisti, da Hamas e Isis, per creare una propria sfera di influenza in Medio Oriente, puntando a diventare la rivale regionale dell’Arabia Saudita. Anche grazie a un esercito di un milione di uomini. È il progetto neo-ottomano di Erdogan ma comporta molti rischi perché il Sud della Turchia è disseminato di etnie e minoranze, prima fra tutte quella dei curdi che punta all’indipendenza. Sostenendo, anche solo implicitamente, i gruppi jihadisti, Erdogan gioca con il fuoco. Oltre a mettere in bilico i rapporti con Nato e Ue.

 

Il sogno espansionistico di al-Baghdadi, che è anche una risposta al Medio Oriente ridisegnato dall'Occidente, è solo il frutto di una mente visionaria e violenta, oppure incontra l'accoglienza di una parte del mondo islamico intellettuale? E quanto questo può contribuire ad alleanze pro-Stato islamico?

Biladi al-Sham è uno dei motivi per cui il Califfato miete consensi a livello popolare in molti Paesi arabi. Nell’area da Baghdad a Beirut, da Aleppo ad Aqaba, vivono milioni di persone che hanno vissuto come un’impsizione gli accordi Sykes-Picot del 1916 da cui si originò l’attuale mappa dei confini fra gli Stati. Imam, accademici e gente comunque – dalla Giordania all’Egitto fino a Ramallah – ricorda come ai tempi dell’Impero Ottomano tali confini non c’erano e le famiglie si muovevano con grande libertà vivendo fra Baghdad, Damasco, Beirut e Hebron. Quando Abu Bakr al-Baghdadi parla di unificazione territoriale fa leva su tale memoria collettiva. Mietendo consensi.

Isis

 

La domanda che più ricorre è «Chi finanzia l'Isis?». Nel suo libro, ricostruisce in modo dettagliato tutte le piste battute fino a questo momento, e che conducono al Qatar, ma non mancano rapporti commerciali con l'Europa dell'Est, da cui acquisterebbe gli armamenti necessari. Come si sta costituendo l'impero economico dell'Isis?

Il ministero del Tesoro Usa sostiene che Qatar e Kuwait hanno consentito a “privati” di far arrivare fondi a Isis e c’è il ragionevole sospetto che ciò sia avvenuto anche dall’Arabia Saudita. Ma tutto ciò appartiene al passato. Oggi lo Stato Islamico si autofinanzia grazie a vendita di greggio – i pozzi del Nord in Siria e Iraq – opere d’arte trafugate e imposizione di ogni sorte di dazi e tasse sulle merci in transito. Il 2014 è stato chiuso con un bilancio di 2 miliardi di dollari ed un utile di oltre 250 milioni ed è ragionevole immaginare che nel 2015 tali numeri cresceranno. L’impegno militare per controllare pozzi e dighe si spiega proprio con gli introiti monetari che possono generare. Petrolio e acqua sono le risorse che più servono al Califfo per edificare il proprio Stato.


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