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“L’intelligenza è un disturbo mentale”, una visione atipica del male di vivere

“L’intelligenza è un disturbo mentale”, una visione atipica del male di viverePaolo Bianchi, giornalista, saggista e romanziere, con L’intelligenza è un disturbo mentale (Cairo Editore, 2016) si avventura nel terreno minato delle patologie mentali, molto più difficili da identificare e curare rispetto a quelle fisiche. Non a caso, tutti i proventi ricavati dalla vendita di questo romanzo saranno devoluti dall’autore alla Fondazione Progetto Itaca, una Onlus che dal 2012 opera a Milano proprio nel campo della salute mentale.

Emilio Rivolta, il protagonista che racconta gran parte della vicenda in prima persona, è un giornalista cinquantenne, cresciuto in una località di provincia (la “Città Piccola”) ma poi emigrato da molto tempo in una “Città Grande”, che potrebbe essere Milano. Ha raggiunto una discreta posizione, che lo mette al riparo dalle incertezze economiche, ed è abbastanza bravo da permettersi di collaborare al suo giornale con una certa discontinuità, in quanto afflitto in modo evidente da una sindrome bipolare. Si tratta di quel disturbo psichico che alterna fasi di depressione acuta a fasi di relativo benessere, se non addirittura di iperattività.

Emilio, come ci racconta, ha provato di tutto per guarire dalla sua malattia, passando da uno psichiatra, o psicoanalista, all’altro, e assumendo combinazioni di farmaci sempre diversi, di cui stende minuziosi elenchi con i relativi dosaggi, ma continua a ritrovarsi nella stessa situazione, almeno fino al momento in cui decide di entrare in un Gruppo di auto-aiuto. Il confronto con il malessere degli altri sembra giovargli, così come la frequentazione di un locale equivoco, dove tra qualche bevuta e un po’ di sesso alcune prostitute si dimostrano più disponibili ad ascoltarlo degli psichiatri da cui è fuggito.

“L’intelligenza è un disturbo mentale”, una visione atipica del male di vivere

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Tra giornate in cui non riesce nemmeno a trovare la forza per lasciare il letto e altre in cui si muove freneticamente per la Città Grande, Emilio sembra trovare, sia pure con molta fatica, un modo per gestire la sua malattia e riappropriarsi di uno stile di vita accettabile, rassegnandosi ad accettare il fatto che, forse, molti malesseri di cui soffriamo derivano anche dalla nostra intelligenza.

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Un po’ memoir e un po’ romanzo, quando il racconto autobiografico cede il passo a capitoli retrospettivi, narrati in terza persona, che ci illuminano sulla giovinezza del protagonista, L’intelligenza è un disturbo mentale non è un libro di facile consumo. Si può rivelare però illuminante per chi desidera sapere qualcosa di più a proposito di quei disturbi psichici che oggi sembrano colpire un numero sempre più alto di persone, che forse in passato sarebbero state etichettate in modo sbrigativo come “matte” pur senza esserlo. Persone che si sforzano di condurre una vita “normale” anche se questo costa loro una fatica immensa, costrette come sono a combattere ogni giorno pesanti battaglie interiori per sconfiggere il proprio lato oscuro.

Due sono gli aspetti del libro che colpiscono di più durante la lettura.

“L’intelligenza è un disturbo mentale”, una visione atipica del male di vivere

Il primo è il giudizio negativo espresso nei confronti di psichiatri e psicoanalisti, che appaiono spesso incapaci di classificare in modo corretto le patologie mentali di chi si affida a loro: emblematico è il caso della dottoressa, a cui Emilio si affida per un lungo periodo, che a un certo punto lo congeda, ammettendo implicitamente la sua incapacità di sconfiggere in via definitiva i disturbi del paziente, ma a nessuno degli altri colleghi descritti tocca un ruolo migliore.

Il secondo riguarda invece la gestione delle terapie farmacologiche, senza dubbio indispensabili per permettere a persone instabili e/o depresse di ottenere un relativo benessere psicofisico, attenuando o eliminando molti sintomi fastidiosi, come ad esempio l’insonnia. L’autore elenca combinazioni di farmaci che sembrano pensate a casaccio, come se in questo campo i terapeuti procedessero spesso per tentativi, senza una percezione reale e completa degli effetti di ciò che prescrivono. La meticolosità con cui Paolo Bianchi inserisce, nel corso della narrazione, questi lunghi elenchi di farmaci con i relativi dosaggi, diventa perciò un elemento abbastanza inquietante, soprattutto calcolando la quantità giornaliera di sostanze potenzialmente pericolose che risulta assunta dal paziente.

Paolo Bianchi non intende offrire facili soluzioni né sostituirsi in alcun modo ai medici, ma solo raccontare il caso singolo di una persona che, grazie a un’autoanalisi spietata e facendo tesoro di successi e sconfitte, arriva a una forma di convivenza accettabile con i propri problemi: di sicuro i lettori di L’intelligenza è un disturbo mentale saranno portati a fare il tifo per Emilio e per i componenti del suo Gruppo di auto-aiuto.

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