“L’inferno su Roma”, Alberto Angela racconta l’incendio della capitale ai tempi di Nerone
L’inferno su Roma (HarperCollins, 2021) è il secondo volume della trilogia che Alberto Angela ha deciso di dedicare al mondo di Nerone, imperatore romano in carica dal 54 al 68 d.C.: sotto il suo governo Roma viene quasi completamente distrutta dal colossale incendio del 64 d.C. e ricostruita in seguito, seguendo criteri urbanistici del tutto diversi da quelli in uso in precedenza, così da lasciare ben poche tracce di quella che era stata la città edificata nei secoli che vanno dalla fondazione fino ai primi decenni dell’Impero.
Alberto Angela ha scelto quindi di dedicare la sua nuova fatica letteraria a questo momento storico particolare: in L’ultimo giorno di Roma (HarperCollins, 2020) ci aveva descritto, basandosi come sempre su accurate ricerche che hanno coinvolto studiosi di vario genere, come doveva svolgersi la vita nella capitale dell’Impero alla vigilia del grande incendio, a cui è interamente dedicato il secondo volume della trilogia, mentre il terzo sarà incentrato sulla complessa e discussa figura di Nerone. Sono vere le accuse rivolte a Nerone di aver fatto appiccare volontariamente l’incendio che distrusse la sua capitale? Assolutamente no, ci spiega Angela nel corso della sua accurata ricostruzione e come ha ribadito nel corso della conferenza stampa di presentazione di L’inferno su Roma.
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Perché dedicare un intero libro a una ricostruzione dell’incendio di Roma?
L’incendio del 64 d.C. in realtà è un argomento poco trattato dagli storici, anche se si lega sia alla figura molto discussa di Nerone, sia al primo martirio dei cristiani.
La Roma preesistente era una città completamente diversa dalla Roma imperiale, che è poi quella che hanno tutti in mente quando si pensa all’antichità: era di impianto più simile alle città medievali, con strade strette e vicoli, e con edifici fatti in gran parte di legno.
Un libro sui nove giorni dell’incendio è abbastanza particolare, anche perché ci ha raccontato quasi una personificazione del fuoco. Da dove ha cominciato?
Di questo incendio noi sappiamo pochissimo perché solo tre autori antichi ce ne hanno parlato: Svetonio, che comunque non era ancora nato, Cassio Dione che è vissuto addirittura diversi secoli dopo e Tacito, che era bambino all’epoca, ma di cui non sappiamo nemmeno se fosse in città in quei giorni, anche se la sua è la descrizione più diretta, per quanto breve.
Tutti concordano però sul fatto che l’incendio sia partito dal Circo Massimo, una grande struttura che oggi appare di marmo ma che all’epoca era in gran parte di legno e sotto le sue arcate ospitava una quantità di botteghe, da una delle quali si presume che possano essere partite le fiamme. Il fuoco è quasi un essere vivente, che nasce, cresce e si alimenta da ciò che trova.
La colpevolezza di Nerone è una fake news del passato: l’imperatore in quei giorni di luglio stava ad Anzio, come tutti i romani benestanti che anche all’epoca lasciavano la città nei giorni caldi di luglio. Gli incendi allora erano frequenti, perché le strade erano strette e le case costruite parzialmente in legno erano così vicine da favorire la propagazione delle fiamme.
Come si descrive un incendio così lontano nel tempo?
Mi sono basato anche sulle descrizioni di grandi incendi avvenuti in epoche più recenti, da quello di Londra del 1666 a quelli delle città tedesche e giapponesi nel corso della Seconda guerra mondiale, leggendo le testimonianze di chi era presente allora: il fuoco si diffonde sempre nello stesso modo.
Il mio libro non è un romanzo, anche se ho adottato uno stile narrativo. Il contenuto è quello di un libro storico e tecnico, perché per riuscire a scriverlo ho riunito molti esperti: archeologi che hanno trovato tracce dell’incendio, storici antichi, vigili del fuoco che si occupano di incendi ogni giorno, ingegneri in grado di spiegare come prendono fuoco determinati materiali da costruzione, meteorologi che mi hanno mostrato il ruolo dei venti nell’incendio. Il Museo archeologico di Napoli che conserva i reperti trovati a Pompei ed Ercolano, la cui distruzione è avvenuta appena quindici anni dopo l’incendio di Roma, ci ha permesso di conoscere come erano arredate a quell’epoca le case romane e che materiali potevano contenere.
Il lettore si ritrova coinvolto emotivamente nelle vite delle diverse persone descritte nel libro. Perché l’incendio di Roma è da considerarsi un grande spartiacque della storia?
L’incendio è uno spartiacque perché crea un prima e un dopo molto precisi. La Roma antica che abbiamo tutti in mente è nata dopo l’incendio, quando si sono decise determinate regole di costruzione, si sono fatte strade più larghe, costruiti portici per proteggere le persone dai crolli: durante l’incendio moltissime persone erano morte colpite da pezzi di edifici che cadevano sulle strade. Ricostruendo la città, Nerone edifica al centro la sua Domus Aurea, un enorme complesso di edifici comprendente anche un lago artificiale. ma dopo la sua morte Vespasiano fa prosciugare il lago e in quel punto fa costruire il Colosseo, che è dunque un figlio diretto dell’incendio.
Per allontanare da sé i sospetti sull’incendio, Nerone accusa i cristiani, che allora a Roma erano ancora pochi. Durante questa persecuzione muore anche il discepolo Pietro e sul luogo della sua morte sorgerà poi la basilica che tutti conosciamo: anche San Pietro è quindi figlio diretto dell’incendio. Se non ci fosse stato l’incendio, probabilmente non avremmo avuto un edificio come il Colosseo in quel luogo e magari nemmeno la basilica vaticana, compresi capolavori come la Cappella Sistina.
Nerone è davvero molto diverso da come viene ricordato? Questo avvenimento ha cambiato l’anima della città?
È difficile stabilire quanto Nerone possa essere stato più o meno crudele di altri imperatori, su cui ci sono pervenuti racconti spesso molto agiografici. È ovvio che ci sono fatti incontrovertibili che testimoniano la follia dell’ultima parte della sua vita, ma per i primi anni il discorso è diverso: è un giovane eletto imperatore a diciassette anni, piuttosto anticonformista, che ama la musica, la velocità, la ribellione tipica degli adolescenti.
L’impero romano è fatto dagli imperatori, che creano il proprio consenso. Dopo Traiano, ad esempio, arriva Adriano che elimina tutto l’establishment del suo predecessore, facendo anche uccidere figure di rilievo. Non bisogna mai guardare con occhi moderni un’epoca antica.
È possibile ricostruire in qualche modo l’aspetto della Roma bruciata?
Della Roma bruciata sappiamo molto poco. Conosciamo dei luoghi dalle descrizioni degli storici e doveva essere una città stranissima. I Galli avevano già distrutto Roma secoli prima e allora molti avrebbero voluto abbandonarla, poi hanno deciso di restare e di ricostruirla, ma questo è avvenuto in modo disordinato: era una città nata in modo caotico, anche per la presenza dei colli. Mancavano strade larghe, le case erano a più piani e molto affastellate: i benestanti abitavano al piano terreno, i poveri in alto, dove non arrivava nemmeno l’acqua. La gente tendeva a vivere tutta la giornata per le strade, si lavava alle terme e spesso non aveva neanche le cucine ma comprava cibo di strada.
I problemi della città, tutto sommato, erano gli stessi della capitale di oggi: disordine, speculazione edilizia, traffico. La Roma bruciata è scomparsa perché era costruita in gran parte con il legno e l’incendio è scoppiato in piena estate.
Si è ispirato a qualche personaggio famoso o letterario per raccontare il rapporto tra i vigiles Vindex e Saturninus, che è uno dei fili conduttori del libro?
Non possiamo capire e sapere tutto di persone vissute duemila anni fa. Questi due vigili erano dei liberti, ex schiavi di un mondo in cui l’età media era metà della nostra e non esistevano le nostre comodità.
Io non invento mai le cose tranne quando sono veramente obbligato, nel senso che non ho nessuna testimonianza passata: le persone dell’antichità che descrivo nei miei libri sono realmente esistite e le ho trovate cercando di individuare tramite testi, lapidi e altro, come i graffiti trovati nei resti di una caserma di vigili, chi potesse essere presente a Roma nei giorni dell’incendio. Vindex e Saturninus compaiono in una lapide che uno dedica all’altro dopo la morte: mi sono basato su quel testo per immaginare il loro rapporto di amicizia.
Quanto studio e preparazione c’è dietro questa trilogia e come ha diviso gli argomenti?
Ammetto di non aver mai lavorato così tanto su un libro, ma ovviamente non ero solo, come potrete leggere nei ringraziamenti. Io sono abituato a fare ricerca sul campo e per anni ho partecipato a campagne di scavo, dove in una squadra ci sono geologi, botanici, paleontologi, zoologi… In questo caso ho coinvolto storici, archeologi, esperti di materiali, senza mai lasciare spazio all’improvvisazione. Questo libro è diviso sui nove giorni di durata effettiva dell’incendio.
Fra tutti i grandi personaggi storici di cui si è occupato qual è quello che l’affascina di più?
Mi piace molto Giulio Cesare e magari penserò a lui in futuro, mi ha intrigato Nerone, ho scoperto un gran personaggio in Cleopatra e trovo che Traiano sia stato l’imperatore più grande: sotto di lui l’impero si estendeva dalla Scozia all’Iraq, lui aveva una visione molto moderna e globalizzata e molti libri che ci parlano della Roma imperiale sono ambientati in realtà proprio nella sua epoca.
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Nerone è quindi assolto dall’accusa di essere un incendiario?
Oggi la maggior parte degli storici propende per la sua innocenza. Ci sono ancora comunque alcuni che ritengono che lui abbia almeno delle responsabilità. Secondo me, in realtà è stato una vittima dell’incendio, perché non aveva nessun motivo per distruggere la sua capitale. Era tra l’altro molto amato dal popolo, e non aveva senso privarlo di tutto.
Nella Roma imperiale erano presenti molti culti diversi e tutti tollerati. Perché prendersela con i cristiani e attribuire loro la colpa dell’incendio?
Roma era una città aperta, purché si riconoscesse la sacralità dell’imperatore, che i cristiani (ma non solo loro) non volevano riconoscere. Erano una comunità ancora agli albori, piccola e molto vulnerabile perché assolutamente non radicata nel territorio. Il cristianesimo, dopotutto, esisteva da poche decine di anni. Ci si è anche interrogati sulla capacità di riconoscere questi cristiani in mezzo alla popolazione di Roma, cosa attribuibile soprattutto alle delazioni. Tra l’altro, le esecuzioni che spesso sono state rappresentate come la morte di migliaia di cristiani, in realtà hanno riguardato un numero molto ristretto di persone.
Nel libro lei accenna al fatto di aver svolto il servizio militare nel corpo dei vigili del fuoco. Quanto di questa esperienza passata ha influito sulla scelta di descrivere così dettagliatamente l’incendio e le è servito ad immedesimarsi?
Sì, io sono stato inquadrato come ausiliario nei vigili del fuoco, anche se la mia esperienza è stata ovviamente breve rispetto a chi rischia tutti i giorni la vita in questo mestiere complesso. Ne conosco almeno le difficoltà, mi ricordo quello che mi avevano insegnato e capisco il grado di pericolo di certe operazioni, per cui mi sono immedesimato abbastanza nei personaggi di Vindex e Saturninus, mettendoci anche qualcosa di autobiografico: ma di sicuro un vigile del fuoco professionista avrebbe scritto il libro meglio di me.
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