L’inchiesta di Fulvio Scaglione ci parla de “Il patto con il diavolo”
Mette a nudo le responsabilità dell’Occidente nell’ascesa dell’Isis l’inchiesta del giornalista Fulvio Scaglione, condotta nel suo ultimo libro Il patto con il giavolo, edito da Bur Rizzoli. Un tema che oggi più che mai, dopo il tragico attentato di Dacca, in Bangladesh, dei giorni scorsi, bisogna affrontare e studiare con cognizione di causa.
Scaglione ci offre ottimi strumenti per approfondire: a lungo vicedirettore di «Famiglia Cristiana» ed esperto di Medio Oriente, specializzato nel settore esteri, ha maturato grande esperienza in questo ambito e sa distinguere i pantani disastrosi in cui l’Occidente si è infilato, sviste ed errori di valutazione, affari non sempre limpidi, alleanze sbagliate o tradite. Naturalmente si tratta di un ambito davvero vastissimo, in cui le intersezioni tra storia, politica ed economia sono strettissime e le domande sono tante: quali sono le colpe dell’Occidente? È davvero impossibile fermare gli islamisti? E visto che oggi un certo giornalismo d’inchiesta è quasi un ricordo sbiadito – almeno sulla carta stampata – meglio trovarlo in libri come questo di Fulvio Scaglione.
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Perché questo titolo così forte Il patto con il diavolo?
È il titolo del libro, ma è anche il titolo di un capitolo, cui segue quello intitolato Il diavolo vince sempre. Noi abbiamo fatto una sorta di scambio, per tutta una serie di interessi, e abbiamo scelto, forse, la parte peggiore del Medio Oriente, abbiamo promosso gli stati e i regimi peggiori, perché come Faust pensavamo che questi accordi ci avrebbero garantito determinati vantaggi. Quello che abbiamo sotto gli occhi è un Medio Oriente più disastrato che mai, un terrorismo più rampante che mai, problemi che aumentano a dismisura – anziché ridursi – e per questo ho scelto questo titolo. Nel libro mi dilungo, ad esempio, sull’Arabia Saudita che è il Paese maggior promotore al mondo delle ideologie radicali ed estremiste e del finanziamento ai terroristi. Però, ho fatto una lunga premessa storica, perché se non si capisce il momento in cui nasce il Medio Oriente, non si riesce a capire che cosa stia realmente succedendo oggi. Il Medio Oriente nasce nel 1916 per un accordo di tipo coloniale fra Francia e Gran Bretagna.
Parlando di Medio Oriente, lei lo definisce come «un personaggio di Pirandello: è uno, nessuno e centomila». Da dove nasce tutta questa confusione? E, soprattutto, quali possibilità intravede per riportarvi ordine?
Quando diciamo Medio Oriente, molti, in realtà, dicono cose diverse. Perché questo? Perché, in realtà, non esiste ed è un’invenzione di Francia e Gran Bretagna quando, durante la prima guerra mondiale, hanno messo mano al disfacimento dell’Impero Ottomano, un’entità multietnica e multireligiosa che aveva punti di forza e di debolezza. Queste due potenze europee hanno disfatto gli equilibri preesistenti, senza riuscire di fatto a ricrearne dei nuovi, e infatti ormai da un secolo il Medio Oriente è senza equilibrio. Per rimestare in questo calderone, bisognerebbe capire qual è il problema alla radice, perché altrimenti rischiamo di inseguire un regime o un movimento terroristico, senza risolvere nulla. Non dimentichiamo – e questo lo affermo con dati inoppugnabili nel libro – che da quando abbiamo dichiarato guerra al terrore (dopo l’attentato alle Torri Gemelle), quest’ultimo è sempre cresciuto. Ciò dimostra che, non solo abbiamo perso la guerra al Terrore, ma anche che era stata impostata su basi non corrette.
Dunque, una presa di coscienza da parte di certe potenze sarebbe stata più utile?
Bisogna sapere come nascono certi fenomeni. Non è vero che il Medio Oriente è sempre esistito, ad esempio, in un certo senso è “fresco”, “giovane”. La radice dei suoi problemi può evidentemente ancora essere rintracciata e discussa. In questi cento anni ci sono state alcune linee di tendenza che non hanno funzionato: una di queste è l’alleanza che certa parte del mondo occidentale, in particolare gli Stati Uniti, hanno avuto con il mondo sunnita e in particolare con le monarchie del Golfo Persico che sono le prime promotrici del radicalismo islamico nel mondo. Siamo di fronte ad una vera e propria schizofrenia occidentale: nel 2010 scoppiò il caso Wikileaks e saltarono fuori così tanti documenti, tra cui uno nel quale Hillary Clinton, all’epoca Segretario di Stato dell’Amministrazione Obama, dichiarava chiaramente ai suoi collaboratori che i sauditi finanziavano il terrorismo. Poco mesi dopo, gli Stati Uniti vendettero all’Arabia Saudita 62 miliardi di dollari di armi. Che cos’è questa se non schizofrenia?
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E a questo proposito, lei mette a confronto due negazionismi: quello dell’islamismo radicale, che si rifugia nel sogno dell’età dell’oro, e quello occidentale, che si sottrae alle sue responsabilità. E quindi alla fine come ne usciamo? Sembriamo schiacciati tra incudine e martello…
C’è una questione importante cui mettere mano: l’Islam non conosce il concetto di democrazia come la conosciamo noi in Occidente, ovvero il governo come volontà del popolo, e non è certo colpa nostra perché sono quattordici secoli che l’Islam si muove secondo queste direttive che non prevedono tale idea di democrazia. Oggi, però, bisogna constatare che molti Paesi mediorientali stanno in piedi grazie – o a causa – dell’Occidente: se ripensiamo all’Arabia Saudita, è vero che ha i soldi del petrolio, ma è anche vero che è stata letteralmente costruita dagli americani e nel dire questo mi riferisco agli impianti idrici, elettrici, agli aeroporti, all’esercito. Oppure pensiamo all’Egitto e al fiume di denaro che gli Stati Uniti hanno riversato nelle casse di Mubarak, o all’Iraq che sta in piedi con il sostegno internazionale. In fondo, siamo molto benevoli: preferiamo aiutarli o comunque non ci opponiamo alle loro politiche. Sarebbe ora di incidere e di pretendere che questi regimi facciano qualcosa di veramente utile e nel libro indico tre settori che potrebbero rivelarsi decisivi per un inizio della risoluzione di questi problemi. Innanzitutto il sistema scolastico che andrebbe riformato perché in tutto il Medio Oriente non è assolutamente adeguato alle sfide della modernità; in secondo luogo, bisognerebbe intervenire nel settore del mercato del lavoro perché in quelle zone ci sono 120 milioni di ragazzi sotto i 30 anni che hanno bisogno di lavorare per avere una speranza di futuro e che rischiano di essere insoddisfatti perché non riescono a soddisfare una loro legittima pretesa, andando così a rinvigorire le sacche del terrorismo; infine, rendere obbligatoria la tolleranza religiosa, specie per le minoranze, in un corretto principio di reciprocità.
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Possiamo ipotizzare una sorta di “Piano Marshall”, con gli opportuni distinguo, ovviamente?
Il Medio Oriente non ha bisogno di soccorso – e il Piano Marshall serviva a prestare soccorso – e ha tutti gli strumenti per risollevarsi da sé. Secondo uno studio accreditato che riporto, per la guerra in Iraq e tutto ciò che ne è conseguito, gli Stati Uniti finiranno con lo spendere 6 mila miliardi di dollari, oltre alla perdita di centinaia e migliaia di vite. Con questa cifra, non dico che sarebbe possibile rifare il Medio Oriente nuovo di pacca, ma tante cose sicuramente sì.
Sarebbe auspicabile l’emersione dell’intellighenzia, di una borghesia illuminata che possa aiutare questo percorso?
Noi parliamo dell’Islam moderato come se fosse qualcosa che sta in un posto e che si può identificare. L’Islam moderato è, in realtà, maggioritario, è magmatico e conduce la sua vita quotidiana in tutto il mondo: si tratta di decine di milioni di persone in tutto il mondo che non spasimano per l’America, ma neanche si sognano di imbracciare le armi. Ma l’Islam è un universo multisfaccetato: quello della Tunisia è molto diverso da quello dell’Arabia Saudita, tanto per fare un esempio. Detto questo, è vero che i pronunciamenti contro il radicalismo da parte di quella che consideriamo la società civile dovrebbero essere molto più energici e frequenti e questo va detto. Non dimentichiamo, però, che i terroristi ammazzano anche altri musulmani, basti pensare che di stragi come quelle del Bataclan a Parigi ce ne sono almeno quattro o cinque al mese in una città come Baghdad. Possiamo, perciò, anche capire quanto siano terrorizzati loro più di noi.
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