“L'Iguana” di Anna Maria Ortese, una vertiginosa confessione
L'Iguana che Anna Maria Ortese pubblicò nel 1965, e che oggi è ristampato da Adelphi, è la storia di una fuga. La fuga è quella di un giovane conte milanese, Aleandro, dalla realtà cittadina (ma lo è per caso, potendo essere campagnola, italiana, occidentale) e moderna, deturpata dai miracoli dell'industria. Aleandro si fa viaggiatore e giramondo una volta l'anno, per conto della madre, sempre alla ricerca di nuovi lidi che possano rinfrancare l'occhio dalla quotidianità cittadina. Gli intenti sono tutt'altro che nobili, perlopiù economici e individualistici, ma il viaggio di Aleandro si rivelerà presto tutt'altro che apatico e distaccato.
La cultura è un vento che soffia da tante parti e anche l'educazione è una forma di cultura, spinge persino ad essere intelligenti. Aleandro è un giovane dotato di grandissima educazione. È l'educazione di chi riconosce nella natura, non solo quella di animali e piante, ma in quella umana soprattutto, la genuinità di chi non ha peccato, la dolcezza di chi sa ricambiare: sentimenti piccoli: la compassione, l'indulgenza. Sull'isola di Ocaña, dove Aleandro approderà, al di là dello stretto di Gibilterra, lontano dalle coste portoghesi, questa genuinità non è di casa, o meglio, non lo è più. Un'isola tanto piccola e minuta da non essere registrata su alcuna carta geografica.
L'isola in questione ha tutto per entrare nell'immaginario letterario erede della grande narrazione di viaggio, quando la meta era sempre una distanza ulteriore e così si spiegavano le meraviglie, gli esseri più deformi e le visioni più imprevedibili che l'occhio umano continuava a rimandare. A quale angolo infatti del nostro pianeta assomiglia Ocaña? A nessuno. Ocaña è Ocaña; inesistente, è un dato inconfutabile, ma allo stesso tempo paradigmatica, un'utopia e un ammonimento: un'isola che ha in sé ogni prerogativa letterariamente intesa per potersi definire tale, dove tutto si converte in qualcosa di oltre.
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Può succedere che un'iguana, sottomessa alle dure intimazioni di un giovane locale, parli e si muova come una ragazza vestita di poche cose e che un ragazzo possa innamorarsene. L'Iguana è per Aleandro una ragazza dolcissima, una bestia repellente per il marchese Ilario che abita l'isola con i suoi fratelli. La vita sull'isola può sembrare il crepuscolo di una condizione ideale, ormai degradata, tra uomo e natura; una storia di tradimenti. Credo invece si debba leggere come una cronaca di giudizi mal calibrati: ciascuno è pronto a imporre il proprio, al di là di ciò che è bene e ciò che è male. Ilario inciampa continuamente in giudizi affrettati. Aleandro, invece, dalla curiosità si abbandonerà all'amore. Aleandro soffre la distanza rispetto alle fantasticherie che incontra e arriva ad amare questo mito tanto terreno senza tuttavia un contatto profondo; sono semplicemente contraccolpi interiori, strazianti, da splendido eroe romantico. Il desiderio fortissimo (e forse inconsapevole) di Aleandro è essere l'ultimo dei suoi.
Il viaggio diventa una condanna silenziosa e spaventosa. Aleandro non ha più riferimenti positivi fra le mani.
Nell'aprile del 1994, con grande dolore, Anna Maria Ortese cominciò una breve introduzione alla nuova edizione de Il mare non bagna Napoli. Era una confessione attesissima e agognata, più dall'autrice stessa che non dai suoi lettori. La Ortese perse, negli anni, al pari di Aleandro, ogni riferimento che fosse buono e saldato a una realtà accettabile e vivibile. Fuggiva anche lei negli anni, senza voltarsi, per il rischio di doversi giustificare e tornare a tastare un dolore terribile. «Da molto, moltissimo tempo, io detestavo con tutte le mie forze, senza quasi saperlo, la cosiddetta realtà: il meccanismo delle cose che sorgono nel tempo, e dal tempo sono distrutte. Questa realtà era per me incomprensibile e allucinante».
La Ortese soffrì terribilmente la guerra; la sua irritazione ebbe bisogno di occasioni eccezionali per manifestarsi. Il dolore di Napoli e l'illusione di Ocaña sono fratelli; fratelli in un dolore eccezionale.
La prima foto ritrae un'illustrazione di Veronica Leffe. La fonte è qui.
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