“L’eternità stanca” di Errico Buonanno
Quando Costantino concesse ai Cristiani la libertà di culto, con l’Editto di Milano del 313, non avrebbe mai potuto immaginare la miriade di fedi che ne sarebbe scaturita. Roma è per antonomasia la culla di tutte le religioni, le custodisce gelosamente più di ogni altro luogo, con la sua lotta eterna “tra il lusso e la fede, le catacombe e le basiliche, la verità e la sua parvenza. Parrocchie, basiliche, cupole azzurre o ceri votivi. Qui il pellegrino può convincersi che la religione, ogni religione, non sia altro che un gioco di apparenza. O può capire l’esatto contrario, e vale a dire che la fede esiste e resiste grazie a questo”.
Bene lo testimonia Errico Buonanno in L’eternità stanca. Pellegrinaggio agnostico tra le nuove religioni, (Laterza, pagg. 150) edito per l’interessante collana “Contromano”. Un viaggio che l’autore, Zeno Cosini del XXI secolo, liberatosi del vizio del fumo, intraprende con animo disincantato e scettico – divertenti i dialoghi con la moglie Claudia – e soprattutto con quella curiositas fondamentale per ogni nuova scoperta: “non sono fedele ma fiducioso. Non sono convinto, ma curioso.”
Così, nell’arco di due mesi, Buonanno frequenta la comunità di Hare Krishna e contemporaneamente incontra Daniele, il “pater familias” del Movimento Tradizionale Romano. I seguaci del MTR sono pagani tradizionalisti che venerano gli dei dell’Olimpo e si riuniscono in uno scantinato di via Bezzeca: alle pareti “poster che raffigurano Artemide, il padre Giove che lancia fulmini” e frasi di Plutarco: “Roma non avrebbe potuto assurgere a tanta potenza se non avesse avuto, in qualche modo, origine divina”
La Comunità cristiana, a pochi passi dalla Stazione Termini, promette miracoli, cancellando “debiti, vizi, tradimento, voglia di morrire (sic), invidia, depressione, pensiero di suicidio”. Mentre sorseggia carcadè, lo scrittore apprende dai raeliani che il loro capo, Rael, la mattina del 13 dicembre 1973, ha visto “scendere da un disco volante un essere di fattezze umane che si presentò come l’Eloha Jahwè” e che gli svelò che “Dio non esiste e gli Elohim sono i Signori”.
Munito di pietra pomice, mascherina, plaid e lattina di pistacchi a mo’ di sonaglio, partecipa con gli sciamani ad un viaggio nei mondi ultraterreni; visita la Chiesa di Scientology, una struttura modernissima e sontuosa come un campus americano; partecipa ad Esoterika, la riunione annuale di tutti i neopagani seguaci di culti insospettabili, e si ritrova in un clima surreale tra streghe, balli e tarocchi.
Buonanno non dimentica nemmeno chi ha fatto della non religione il proprio credo: è l’Unione degli Atei ed Agnostici Razionalisti – la sezione romana si trova sulla via Ostiense – che lotta con tenacia per “scrocifiggere” l’Italia e liberarla dalle ingerenze del Vaticano.
Un reportage assolutamente originale da cui emerge una profonda invidia per chi è riuscito a trovare un senso, convinto che ogni religione sia “il sogno di un mondo, con regole, leggi e finalità. Osservo la galassia strana di quest’universo neopagano, e mi dico che il laico non dovrebbe essere chi i mondi li irride, ma chi li guarda come da un passo di distanza, come davanti a un cielo stellato, e che capisce, o compatisce, la perfezione di ciascuno di loro”.
Non sfugge la religione dell’autore – illuminante l’esergo di Malamud – che altro non è che la scrittura, la sacralità nel raccontare storie. Scott Fitzgerald come modello, Buonanno ha cominciato a scrivere e a fumare, a farsi del male e a salvarsi e sembra ricordare i celebri versi di Pessoa: “il poeta è un fingitore./Finge così completamente/che arriva a fingere che è dolore/il dolore che davvero sente”.
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