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“L’età di Shiva” di Manil Suri

“L’età di Shiva” di Manil Suri“Immaginai di avvicinarmi al tuo letto, di starti accanto in piedi come una volta avevi fatto con me, le posizioni invertite rispetto al mio sogno ricorrente. Come avresti reagito una volta che avessi aperto gli occhi?”

Il viaggio di Mira verso la felicità è un susseguirsi di abbandoni e tradimenti. Appena diciassettenne cade nel tranello della voce malinconica di Dev, giovane cantante in cerca di popolarità. Il serpente che lui ha sul petto la spinge contro i sassi di un sepolcro, legandola per sempre a un destino difficile da compiere. La religione inizia a permeare i suoi giorni, guidandola alla scoperta di rituali e preghiere a lei sconosciuti. L’osservanza dei nuovi compiti di sposa rafforza il carattere debole di Mira, spingendola a contrastare apertamente i principi laici imposti dal padre progressista.

Nonostante il sostegno della nuova famiglia, in particolare della cognata sterile, mite e devota, Mira non riesce a fuggire all’influenza paterna, cadendo soggiogata ai suoi voleri, percorrendo con rassegnata obbedienza una strada tracciata senza il suo consenso. Il sacrificio del primo figlio, in nome di un futuro migliore, di una prospettiva di carriera per il marito e di un lavoro rispettoso per lei, alimenta una rabbia silenziosa.

La maternità inespressa si trasforma in amore confuso, sensuale e al tempo stesso proibito, per Ashvin. Le carezze notturne si amplificano nei pensieri di Mira, i baci sulle guance nascondono lo spettro di un bisogno di attenzione mai appagato. Le vicissitudini avverse spingono Mira nel vortice di un sentimento materno innaturale e perverso. Il corpo si ostina a mantenere il controllo, mentre l’immaginazione esplora terreni scoscesi e pianure lussureggianti. La paura di rimanere sola, il legame troppo esclusivo con il figlio, la catapulteranno in un futuro da vivere, finalmente, in prima persona, senza aiuti esterni, né volti a cui implorare sorrisi.

La sensualità che Manil Suri lascia trasparire in molte pagine, assecondando pensieri proibiti, fa di Mira una donna fragile, in balìa dei suoi stessi tormenti. L’abnegazione materna non sempre è pura, il tentativo di vivere da eroina spesso si concretizza in gesti goffi e pieni di egoismo. La crescita di Ashvin, gemello sopravissuto, è anche la crescita di Mira. La ragazza spaventata che lascia la sua casa, prende coraggio e impara ad ascoltarsi, cercando di appagare i propri desideri senza la paura di essere giudicata. Gli errori che commette sono molti, spesso dettati da un egocentrismo estremo, eppure anche per lei potrebbe esserci la purificazione.

La sensualità di Mira, però, non è un sentimento da imitare. Nell’amore materno non ci può essere spazio per pulsioni ambigue e desideri carnali. L’affetto che una madre trasmette al figlio dovrebbe essere quanto di più puro e disinteressato un essere umano ha da offrire. Il rischio che Mira corre è di rendere Ashvin un secchio vuoto, dentro cui riversare il proprio bisogno di attenzione, riempiendolo e svuotandolo a piacimento, a seconda di un desiderio evanescente.

La sua fortuna, di donna ripetutamente tradita e abbandonata, è, paradossalmente, non essere mai rimasta veramente da sola. Nei rapporti contrastati con Arya, Dev, Rupa, Paji, Ashvin, si è celata l’unica salvezza possibile: la rabbia. Solo la lotta continua ha permesso a Mira di non cadere vittima di se stessa.

 

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