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L’età dell’inconsistenza ne “L’innominabile attuale” di Roberto Calasso

L’età dell’inconsistenza ne “L’innominabile attuale” di Roberto CalassoViviamo nell’età dell’inconsistenza. Il mondo in cui siamo immersi è «elusivo», sfugge alla «morsa del concetto» in cui Hegel avrebbe voluto stringerlo. Frivolezza e superstizione: i nuovi paradigmi della contemporaneità, dove la religione del Big Data (il dataismo) ha sostituito la «sconnessione universale» concretizzata con un’opera continua di «abrasione del significato» dal movimento dadaista, a imporsi nello scenario attuale è l’unico valore supremo del «flusso di informazione».

L’innominabile attuale (Adelphi, 2017) di Roberto Calasso, il nono libro di un’opera in corso, è diviso in tre capitoli, riflessi l’uno sull’altro come un gioco di specchi, racconto dell’esclusione del divino e dell’affermazione dell’Homo saecularis: terroristi e turisti, transumanisti, hacker e algoritmici. Narrazione di un’apocalisse annunciata, rappresentata nel secondo capitolo La società viennese del Gas, concentrato di frammenti ed elementi costruiti in una sapiente architettura composta dalle corrispondenze di autori come Louis Ferdinand Céline, André Gide, Samuel Beckett, Walter Benjamin, Arthur Koestler, Vasilij Grossman e tanti altri: cronaca degli anni dal 1933 al ’45, narrazione del primo tentato autoannientamento del mondo.

 

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Crollo di una civiltà, icasticamente profetizzato da Baudelaire in un frammento non databile conservato alla Biblioteca Jacques Doucet e rappresentato da Calasso nel terzo e conclusivo capitolo, Avvistamento delle torri. Tornano in mente due opere del maestro americano Don DeLillo: Underworld (Einaudi, 1999) e L’uomo che cade (Einaudi, 2007). Il primo attraverso la copertina, con le due torri del World Trade Center di New York che si innalzano al cielo, avvolte nel fumo più denso, profetica visione di un crollo rielaborato e narrato nel romanzo che quella tragedia mette in scena, dal titolo dell’opera di un artista performativo di strada che ricrea la postura dell’uomo immortalato mentre si getta nel vuoto per fuggire alla catastrofe («a testa in giù, con le braccia distese lungo i fianchi, un ginocchio sollevato»), gettato verso l’inevitabile.

L’età dell’inconsistenza ne “L’innominabile attuale” di Roberto Calasso

L’esclusione della dimensione del sacro, conseguenza della secolarizzazione che porta all’estinzione del «senso del religioso» per l’autore, riporta alla memoria alcune pagine della raccolta di aforismi dello scrittore colombiano Nicolás Gómez Dávila,In margine a un testo implicito(Adelphi, 2001), animata da una profonda sfiducia verso la «società del futuro», dove viene scritto che «la scienza non risolve i problemi che l’uomo le pone, ma quelli che essa stessa si pone». Attenzione all’«esperienza del sacro» come incontro con Dio («la condizione trascendentale dell’assurdità dell’universo»), significa certezza dell’Eterno, come messo in luce dal curatore dell’opera Franco Volpi, verso una metafisica che conferisca senso al mondo come atto filosofico.

Il volume di Calasso è un libro metafisico, e domande come «Si Deus est, unde malum?», posta da sommi metafisici, riflette il tentativo di contrapporsi alla rudimentalità che il secolarismo umanista ha imposto, trasformandosi per via negativa in una religione essa stessa, con le implicazioni di tutte quelle sfumature come la «tiepidezza» e la «bigotteria aggressiva» che si trascina con sé.

La civiltà dei transumanisti, convinti che sia venuto il momento di sbarazzarsi della morte (anche qui, non si può non pensare a Don DeLillo e al suo ultimo romanzo Zero K, pubblicato da Einaudi, dove i corpi del padre del protagonista e della sua amante vengono conservati crionegicamente per un tempo indefinito fino al loro risveglio in un futuro prossimo), vuole «manipolare l’invisibile», eludere il sacro, ma allo stesso tempo restano profondamente attratti dalla dimensione religiosa da esso implicata.

Il sacrificio come fondamento del terrorismo islamico, il cui nemico è rappresentato dal mondo secolare, la cui diffusione per Calasso è fatta coincidere con l’avvento della pornografia in rete negli anni Novanta: la sua eredità rimbalza tra le due grandi guerre, dal «terrore nichilistico» al terrorismo fondamentalista, la cui genesi è ricostruita dalle pagine de Il milione di Marco Polo e l’incontro con Hasan-i Sabbah (il «Veglio della Montagna») e i suoi seguaci, i fida’iyyan («quelli che si sacrificano») o gli «assassini», dalla parola hashashin, i «consumatori di hashish».

L’età dell’inconsistenza ne “L’innominabile attuale” di Roberto Calasso

Terroristi e turisti, come nel romanzo Piattaforma (Bompiani, 2003), di Michel Houellebecq, convergenza verso l’unità attraverso il tramite della pornografia: «Ora viaggiare significa avere uno scopo: il sesso è più chiaro, nettamente circoscritto e pragmatico». Michel, il protagonista del romanzo decide di partire in Thailandia, dove frequenterà villaggi turistici in cui il sesso è libero e la prostituzione è autorizzata, idea che poi trasferirà nell’obiettivo di finanziare una rete mondiale di villaggi con la stessa Weltanschauung, ma la tragedia è dietro l’angolo.

In un Occidente che può offrirti unicamente «i prodotti firmati», prostituzione e pornografia (come Houellebecq anche Calasso, sembra cadere nella trappola dello scontro di civiltàsono come due blocchi monolitici indistinti e speculari. La secolarizzazione trascina con sé la reiterazione dell’identico, e dall’altro il vuoto del terrore. Ripetizione come elemento esoterico essenziale per la pubblicità, cifra del nostro tempo, perché garante del significato, come nell’episodio del varietà raccontato nel libro, dove viene chiesto a una giovane ragazza «vacua», di rispondere alla domanda «che cosa vorresti essere?», risposta: «la pubblicità». Ecco, per l’autore in quell’affermazione è racchiuso lo Zeitgeist.

 

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L’unità nelle differenze è un valore possibile, per quanto di questa opportunità non vi sia traccia nella dimensione apocatastatica di Calasso, ed è realizzabile come argomentato da Alain Badiou in Metafisica della felicità reale (DeriveApprodi, 2015), nel capitolo «Per essere felici, occorre cambiare il mondo?». Due eventi: il maggio del ’68 e la rivoluzione araba da piazza Tahrir in Egitto. Nel primo caso, ha rappresentato l’unione diretta tra giovani intellettuali e gli operai; nel secondo caso, l’unità è stata scandita dal rapporto delle masse popolari che si è osservato tra le due comunità, quella musulmana e quella cristiana, dove questi ultimi «proteggevano dei musulmani durante le preghiere e più in generale identici erano gli slogan politici di entrambe le comunità». La possibilità di un tempo unitario come illuminazione del futuro, l’evento scalfisce il vecchio reale assumendo le forme di una nuova unità «che va al di là delle differenze stabilite fino a quel momento», come scrive Badiou.

Questa unità nelle differenze è il fondamento del godimento di nuove forme di vita, felicità reale che presuppone una liberazione dal tempo stesso, per evitare che ancora, come ricorda Calasso stesso citando George Orwell, venga un mondo in cui si possa affermare che due più due fa cinque.

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