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L’eredità di Silvio Berlusconi

Silvio BerlusconiParlare dell’eredità di Silvio Berlusconi potrebbe risultare azzardato dal momento che i lasciti sono tali solo post mortem. Il Cavaliere ci ha abituati a così tante trasformazioni che qualunque previsione può apparire antiquata prima ancora di essere pronunciata. Il punto, però, è che vorrei parlare di un altro tipo di eredità, quella che, pur essendo formalizzata oggi in vista del futuro, può senz’altro ritenersi valida in riferimento al passato, incluso il pre-ventennio berlusconiano. Ma prima di entrare nel merito, sono necessarie due premesse, una di carattere personale, l’altra più generale; entrambe, a mio avviso, indispensabili per sgombrare il campo da possibili equivoci.

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Premessa n. 1
Io non sono berlusconiano, né un uomo di destra o di centro-destra. A dire il vero, faccio fatica a riconoscermi in una rappresentanza politica. Per essere franco e diretto, non ritengo che Alba Parietti sia più intelligente di Iva Zanicchi solo perché la prima è la coscia lunga del Partito Comunista e la seconda una ex parlamentare europea di Forza Italia; allo stesso modo, non penso che Bianca Berlinguer sia più irreprensibile sul piano etico di Clemente Mimun solo perché la prima dirige il TG3 e il secondo è alla guida del TG5, e non credo, infine, che Michele Santoro abbia, in ambito giornalistico, un peso specifico maggiore di Paragone solo perché il primo è anti-berlusconiano e il secondo è (o è stato) in quota Lega.
Punti di vista, mi direte. Di certo è una questione di opinioni personali, ma il presupposto generale potrebbe essere condivisibile: non basta essere di sinistra per essere migliori.

Premessa n. 2
La decadenza di Berlusconi da senatore non è, di fatti, l’epifenomeno del suo decadimento, tant’è vero che stiamo sempre più assistendo al rafforzamento della sua leadership grazie a una fase di trasformazione verso un nuovo personalismo post-predellino, che definire di piazza è limitante, a meno che per piazza non s’intenda un non contesto esteso. Quanto, poi, questa leadership sia ancora in grado di sostanziarsi in un potere concreto resta da vedere.

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Scrivevo, dunque, dell’eredità berlusconiana come di una dote su cui può essere utile riflettere, provando a usarla come cartina di tornasole di un passato (più o meno recente) o di un oggi ancora in essere senza prospettiva di cambiamento, nonostante l’avanzata di nuovi che sono tali solo per autodefinizione.

Qual è stata la vergogna di Berlusconi? L’aver estremizzato comportamenti che definire immorali è come dare una carezza a un bambino che ha subito un abuso da un prete pedofilo.
Qual è stato il merito di Berlusconi? L’aver ingigantito con sfrontatezza condotte che, nei fatti, erano o sono ancora adottate dagli stessi che per quei comportamenti lo accusano di essere immorale, nella migliore delle ipotesi.
Questa è, secondo me, l’eredità costruttiva del berlusconismo che dovremmo salvare per liberarci dei suoi difetti in noi, estirpando il Berlusconi che era già ben radicato nelle logiche politiche e sociali della sinistra (poi centro-sinistra), prima ancora della discesa in campo del Patriarca del Biscione.

Provo a esplicitare quanto cerco di esprimere attraverso un esempio concreto, facendo riferimento a un ambito su cui si sono mosse le critiche anti-Berlusconi negli ultimi anni, cioè il conflitto di interessi. È senz’altro vero che sia palese la sua sussistenza, così come è grave il mancato intervento del centro-sinistra quando, invece, ne aveva l’opportunità.

Quello berlusconiano, però, è solo la versione smaccatamente sfrontata di una serie di conflitti d’interessi presenti anche altrove. Si accusa Berlusconi per due ragioni:

  1. Possiede tre canali televisivi (ma, se contiamo anche Rai1 e Rai2, ne controlla cinque): la lottizzazione, però, non è certo un’invenzione berlusconiana. Che cosa gli si rimprovera? Di essersi costruito uno spazio privato per fare propaganda senza lottizzare le reti pubbliche pagate con i soldi di noi cittadini e contribuenti? Di non aver rispettato la tradizionale pratica della lottizzazione? O, forse, il peccato più grave è quello di poterne fare a meno?
  2. Possiede un giornale di famiglia («Il Giornale») e uno di partito («Libero»). Anche in questo caso, però, Berlusconi ha solo riproposto, ingigantendolo, un sistema già in vigore. «L’Unità» non è, forse, un giornale di partito? Possiamo davvero considerare Concita De Gregorio ai tempi della direzione de «L’Unità» meno partigiana (nel senso deleterio del termine) di Belpietro? Ancora, «Repubblica» è il giornale della famiglia De Benedetti, notoriamente avversa alla famiglia Berlusconi. È un caso che ormai sia diventato il quotidiano anti-berlusconiano per eccellenza? Che ci sia negli editoriali di Scalfari e Mieli lo stesso conflitto d’interessi che anima gli editoriali di Feltri e Sallusti? Perché non dovremmo concedere a questi il beneficio del dubbio? Perché non dovremmo rivolgere le stesse accuse a Scalfari e a Mieli?

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Conflitto di interessiDa questi due punti, derivano altrettante accuse:

  1. Il proprietario di aziende private non può, al contempo, gestire la cosa pubblica. Si tratta di un principio inappuntabile che deriva, a sua volta, da un altro principio: chiunque gestisca la cosa pubblica non deve intrattenere relazioni personali con aziende e interessi privati. Tralasciando i coinvolgimenti del Partito Democratico nei fatti del Monte Paschi di Siena, nella pratica del centro-sinistra, invece, accade un piccolo conflitto d’interessi, talmente piccolo da risultare meschino per l’assenza di remore nel praticarlo: Massimo D’Alema, Dario Franceschini e Walter Veltroni (per citarne solo alcuni) pubblicano libri (romanzi o saggi) intrattenendo rapporti commerciali con case editrici che, pur producendo cultura, restano aziende private. Dunque, tre esponenti del centro-sinistra, tre uomini delle istituzioni che hanno contatti con aziende private, alcune del Gruppo Mondadori, di proprietà della famiglia Berlusconi. Cos’è questo, se non un conflitto di interessi?
  2. Il proprietario di aziende private che gestisce la cosa pubblica potrebbe, nell’esercizio delle sue funzioni e prerogative, favorire le proprie aziende: altro principio sacrosanto, ma smentito nei fatti dallo stesso centro-sinistra. «Repubblica» è riconducibile a De Benedetti tramite CIR Spa, azionista di maggioranza del Gruppo Editoriale L’Espresso. Del gruppo CIR Spa fa parte anche Sorgenia Spa, al centro di una furiosa polemica, alimentata da Renato Brunetta, perché nella Legge di Stabilità del Governo Letta è stata inserita una “norma salva Sorgenia” che stanzierebbe 120 milioni di euro all’azienda riconducibile a De Benedetti. Dunque, un governo appoggiato in larga misura dal Partito Democratico tenta di salvare un’azienda del gruppo dell’azionista di maggioranza del quotidiano più anti-berlusconiano del momento. Non è forse un conflitto di interessi questo?

Continuo ad avere molte domande e quasi nessuna soluzione, ma una proposta e un auspicio: perché il centro-sinistra non si libera dei suoi conflitti d’interessi, utilizzando, dunque, l’eredità di Berlusconi a proprio vantaggio? Ma, visti gli sviluppi delle ultime settimane (basti pensare a Renzi alla conferenza stampa per la presentazione del libro natalizio di Bruno Vespa, come un qualunque vecchio dirigente del PD), non possiamo che nutrire poche, pochissime speranze.

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