L’era di Trump e la sconfitta del buonismo
L’era di Trump ha inizio prima dell’inauguration day. Quando, a metà del suo secondo mandato, Obama perde la maggioranza al Congresso e le sue politiche interne cominciano a capitolare sotto i colpi dell’opinione pubblica repubblicana e di sinistra. I democratici hanno perso perché il loro elettorato è dentro una logica di strenua conservazione di un’idea che, duole dirlo, stona con le opposte tendenze della contemporaneità.
Trump incarna la reazione di destra al vuoto ideologico lasciato dai democratici di tutto il mondo, se ne fa alfiere e vince arrivando a governare gli Usa. Sanders, al contrario, incarna, nonostante la sconfitta, una possibilità di uscita a sinistra dal medesimo vuoto. In quel vuoto, che è un gorgo risucchiante, è cascata la candidatura della Clinton, del tutto inadeguata a farsi interprete del malcontento del popolo statunitense.
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Trump si attesta come strumento delle destre mondiali, come incantatore globale al servizio della rinascita dei nazionalismi e dei protezionismi: lo si è capito nel suo discorso di apertura. La sua era si preannuncia carica di pessimo americanismo a stelle e strisce, e di contestazioni vibranti. Eppure il suo comando potrebbe servire a riattivare la partecipazione democratica. Serve però una presa d’atto della sconfitta del pensiero moderato globale. Non hanno vinto i richiami al buon senso, né il caritatevole pietismo bianco della Clinton. La sconfitta storica del buonismo necessita di essere resa pubblica per evitare che Trump diventi davvero modello per tutto il globo.
Vale anche in Italia, dove ancora non si è ben compreso che il presente è già una contrapposizione tra posizioni molto lontane, che non c’è via alla conciliazione se non attraverso severe prese di posizione. Quelle che Obama in parte ha fatto. Quelle che sono mancate alla Clinton. Quelle utili a costruire una nuova idea di democrazia mondiale.
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L’era di Trump sarà il tentativo dall’alto di smantellare i principi democratici, se nessuno irrobustirà dal basso la pratica della democrazia. La risposta sana non può essere il leaderismo, anche perché di grandi leader democratici non se ne vedono all’orizzonte. Dovrà essere comunitaria, civile, pacifica e mondiale. Altrimenti non sarà una risposta, ma un assecondare l’appetito del trumpismo. Un appetito che può aprire a scenari davvero apocalittici se, dall’altra parte, nessuno si premunirà di rifare ostinatamente la democrazia, incarnandone i valori, innanzitutto. In caso contrario l’era di Trump rischia di essere lunga quanto un nuovo Medioevo.
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