L’arte è una bugia che realizza la verità. Intervista a Picasso
Lui è uno degli artisti più discussi. Donnaiolo, eccentrico, comico (a tratti), rivoluzionario. Nacque a Málaga nel 1881 ed è considerato uno dei più grandi pittori del Ventesimo secolo. Stiamo parlando di Pablo Ruiz, meglio conosciuto come Picasso: decise di adottare il cognome materno, «più sonoro con quella doppia s», come raccontava, e perché voleva ribadire la propria indipendenza artistica nei confronti del padre, anch’egli pittore.
L’abbiamo incontrato all’interno di una trattoria, una mattina di qualche tempo fa, in compagnia del suo bassotto Lump.
Buongiorno, signor Picasso. Noi di Sul Romanzo siamo felici di poterla intervistare.
Ma ci vedono tutti qui?
Non esattamente. Non siamo qui con telecamere. Troverà la sua intervista collegandosi a internet, con il computer.
I computer sono inutili. Ti sanno dare solo risposte. Preferisco la televisione. Ricordo d’aver cominciato a guardarla quando trasmisero il matrimonio della Principessa Margaret. A volte trovo cose bellissime, altre volte cose orribili. Dico questo perché siamo qui io e lei.
Iniziamo parlando di arte. Vorrei cominciare con una delle opere più celebri e anche una delle più costose, tra i centocinquanta e i duecento milioni di dollari: Les demoiselles d’Avignon.
Avignone è sempre stato un nome a me caro... però questo titolo mi dà noia. Lo scelse Salmon, ma quello originale era Il bordello di Avignone. E sapete perché? Abitavo a due passi dalla calle d’Avignon. E ci compravo la carta, i colori all’acquerello. Poi, la nonna di Max Jacop era originaria di Avignone. Una delle donne era proprio lei. L’altra Fernande [Olivier], un’altra Marie Laurencin, tutte in un bordello di Avignone. Secondo la prima idea ci dovevano essere anche degli uomini. C’era uno studente che teneva in mano un cranio, un marinaio. Le donne stavano per mangiare, e perciò il paniere di frutta, che è rimasto. Poi ho cambiato idea e il quadro è diventato quel che è ora.
Lo sa che anche Guernica ha un valore inestimabile? Si pensa un miliardo e mezzo di dollari…
In Guernica esprimo il mio odio per la casta militare che ha sprofondato la Spagna in un oceano di dolore e di morte. La ridicola frottola che i propagandisti fascisti hanno fatto circolare è stata smentita dal gran numero di artisti e intellettuali che ultimamente hanno visitato la Spagna, e che hanno riconosciuto il profondo rispetto che il popolo spagnolo in armi ha dimostrato salvando la grande ricchezza di quadri e dipinti religiosi e di arazzi dalle bombe incendiarie fasciste. Tutti conoscono il barbaro bombardamento del Museo del Prado da parte di aerei ribelli, tutti sanno come i soldati riuscirono a salvare i tesori d’arte a rischio della vita.
Secondo lei, qual è il ruolo dell’arte?
Quando dipingo, il mio scopo è di mostrare quel che ho trovato e non quello che sto cercando. In arte le intenzioni non sono sufficienti e, come diciamo in Spagna, l’amore deve essere provato coi fatti non con gli argomenti. Conta quel che si fa, non quel che si ha intenzione di fare.
L’arte è una bugia che ci fa realizzare la verità. L’artista deve sapere il modo con cui convincere gli altri della verità delle sue bugie.
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Lei ha sempre amato ostentare la sua ricchezza, ma sappiamo che i suoi inizi non furono molto rosei, soprattutto durante il periodo parigino. Tuttavia la passione per l’arte l’ha portata a essere uno dei pittori più ricchi.
Mi piacerebbe vivere come un uomo povero, con un sacco di soldi. Perché in casa mia non ci sono appesi quadri da me dipinti? Perché non me li posso permettere. [risata]
Ho sempre amato tutto con molta passione e penso che mi sarebbe potuta piacere anche la maniglia di una porta o un vaso da notte. Tutto dipende da sé stessi. Il resto è nulla. È unicamente per questo che Matisse è Matisse, per esempio.
Questo è un tasto dolente. Abbiamo incontrato Matisse un po’ di tempo fa: non ha espresso belle parole nei suoi confronti. Lei gli era molto legato. So che vi frequentavate e che condividevate molti pensieri. Lei però non è nemmeno andato al suo funerale!
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Ricordo che un giorno gli dissi: «Quando uno di noi due morirà ci saranno delle cose che l’altro non potrà più dire a nessuno». Così fu e sarà. Io ero il Polo Sud, lui era il Polo Nord. Il nostro è sempre stato un rapporto d'amore e odio. Quando Matisse è morto, mi ha lasciato in eredità le sue odalische, ed è questa la mia idea dell’Oriente, sebbene non ci sia mai stato. Tutto è fatto con le intenzioni del momento. Perciò quello che mi sento di dire è: non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere. E poi non capisco, la gente vuole trovare un senso a tutto. Questa è la malattia della nostra epoca!
Una cosa che mi sono sempre chiesta è: ma i pittori non si stancano a stare così a lungo in piedi finché dipingono?
No. Per questo i pittori vivono così a lungo. Mentre lavoro lascio il mio corpo fuori dalla porta, come i musulmani si tolgono le scarpe prima di entrare nella moschea. Lavoravo tutto il giorno. Quando la luce del giorno cominciava a diminuire sulla tela, proiettavo su di essa due riflettori e ogni cosa intorno scompariva nell’ombra. L’oscurità deve essere completa dovunque, eccetto che sulla tela, perché il pittore sia ipnotizzato dal suo lavoro e dipinga quasi come se fosse in trance. Deve restare il più possibile chiuso nel suo mondo interiore, se vuole trascendere i limiti che la sua ragione tenta di imporgli. Ognuno ha l’energia potenziale. La persona media spreca la sua in una dozzina di piccoli modi. Io esercito la mia in una sola cosa: i miei quadri, e tutto il resto è sacrificato a loro… me compreso.
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Nel libro La mia vita con Picasso, la sua ex moglie Françoise Gilot ha raccontato molti particolari della vostra vita insieme. Mi ha colpito conoscere i suoi riti appena sveglio: «Pablo soffriva di una specie di disturbo della volontà che lo rendeva incapace di prendere la più piccola decisione nella vita domestica. Uno dei compiti più faticosi di ogni mattina era quello di uscire dal letto. Si svegliava sempre in un alone di pessimismo [...] entrava per prima Ines con la prima colazione, poi la signora con i giornali e la posta e poi veniva il mio turno. Dovevo continuare a rassicurarlo».
Devi renderti conto che tutto ha un prezzo nella vita. Tutto quello che ha un grande valore, una creazione, un’idea nuova, porta con sé la sua zona d’ombra. Devi accettarlo com’è. Ogni azione ha il suo lato negativo. Ogni valore positivo ha il suo prezzo in termini negativi e non esiste qualche cosa di veramente grande che non sia, al tempo stesso, orribile.
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Lei amava in modo particolare il mondo femminile, ma non si è comportato sempre bene con le sue donne. Marie-Thérèse Walter si impiccò, Jacqueline Roque si sparò, Ol’ga Chochlova e Dora Maar persero la ragione.
Come dico sempre, ci sono solo due tipi di donne: le dee e le vipere.
Non mi voglio soffermare su questa sua frase. So che lei ha illustrato il libro edito da Skira Le metamorfosidi Ovidio che segnò anche l’inizio della casa editrice, vero?
Esatto. E lei sa come è nata l’idea di quel libro? [risata] Quando Skira era giovane faceva disperare sua madre perché non voleva studiare. Aveva allora ventidue o ventitré anni e non pareva interessarsi di nulla e sua madre, che era vedova, non sapeva che fare con lui. Stanco di sentirsi chiedere di continuo che cosa avrebbe fatto nella vita le dichiarò un giorno che voleva diventare editore. Sorpresa, lei gli chiese che cosa avrebbe pubblicato. Per calmarla le rispose: “sto per pubblicare un libro illustrato da Picasso”. Lei non volle scoraggiarlo e le consigliò di venirmi a trovare. Quello fu l’inizio di Skira.
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Ha mai passato qualche periodo della sua vita in completa solitudine?
Nulla può essere fatto senza la solitudine. Mi sono creato una solitudine che nessuno sospettava. È molto difficile oggi essere solo perché abbiamo gli orologi. Avete mai visto un santo con l’orologio? Ho cercato dappertutto per trovarne uno, perfino tra i santi che sono considerati i protettori degli orologiai.
E fu così che dopo aver tirato fuori dalla tasca un orologio, Picasso ci salutò: Arrivederci, a presto, mi aspettano a colazione. Bevete alla mia salute.
Grazie Picasso per questa tua intervista. Porteremo sempre con noi una delle tue più celebri frasi:
«Conta quel che si fa, non quel che si ha intenzione di fare».
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