“L'arte di raccontare”: ecco i consigli di alcuni grandi scrittori
L'arte di raccontare di Alberto Garlini e Caterina Bonvicini è una raccolta di interviste a grandi scrittori, uscite sul Fatto Quotidiano del Lunedì tra il novembre 2013 e il gennaio 2014, pubblicate in volume da Nottetempo a giugno 2015. Gli articoli appartenevano a una serie intitolata “Lezioni di scrittura”, e in effetti i dialoghi tra gli autori regalano frammenti di esperienze che incuriosiscono gli appassionati di metaletteratura e offrono consigli agli aspiranti romanzieri.
Colm Toíbín, Jhumpa Lahiri, Elizabeth Strout, John Banville, Edward St Aubyn, Yasmina Reza, Emmanuel Carrère, Javier Cercas, Petros Markaris e Luis Sepúlveda: ecco i docenti di questo corso di scrittura creativa. Ogni scrittore viene interpellato su un fondamentale della costruzione narrativa, quello che secondo i curatori è la specialità degli intervistati. Forma, ambientazione, incipit, personaggi, dialoghi e generi sono analizzati in un clima confidenziale, senza intenti didascalici o pedanterie. Lo scopo infatti non è insegnare, ma confrontarsi sul processo creativo: come afferma Yasmine Reza, «il talento è pericoloso, perché si è a proprio agio con le parole […] Invece lo sforzo deve restare presente. Ti devi sforzare di essere sempre un principiante». L'apprendistato non termina mai neppure per i maestri: per dirla con Truman Capote, «lavorare è l'unico trucco che conosco» per gestire e mettere a frutto il talento.
L'arte di raccontareparte proprio dal dilemma primario della forma: romanzo o racconto? Alberto Garlini li definisce così: «il racconto è un fulmine di grande unità drammaturgica, il romanzo il lento ruminare del mondo». Dello stesso parere Jhumpa Lahiri: «un racconto è come un treno che passa. Un romanzo è come andare in macchina: si entra, si gira la chiave, poi si accelera». Cosa determina la scelta della forma? Secondo Colm Toíbín, è la storia stessa, il suo movimento in totale autonomia, la sua naturale musicalità.
Per lo scrittore irlandese, è una questione di ritmo istintivo anche l'ambientazione: «tutti i luoghi di cui ho scritto hanno avuto un valore emotivo per me, in un modo o in un altro. Le descrizioni, quindi, vengono naturalmente. Non guarderei mai una mappa, per esempio». Ragionando ancora per analogie musicali, la scena dovrebbe essere la linea di basso che sostiene la struttura della narrazione, così come l'attacco iniziale: «il romanzo può iniziare in modo più lento, invece nel racconto è importante iniziare in mezzo alle cose, l'incipit deve essere più veloce perché tutto è più urgente», puntualizza Jhumpa Lahiri.
Il coinvolgimento sensoriale ed emotivo diventa uno strumento indispensabile nella creazione dei caratteri e delle loro interazioni: «quando mi accorgo che sono stanca di un personaggio» confida Elizabeth Strout «è un pessimo segno. [...] Perché, mi creda, se sono stanca io, figuriamoci quanto può esserlo il lettore. Devo trovare il modo di mantenermi in uno stato di eccitazione. Se a me non interessa, a te non interessa. Devo guardarli con il cuore aperto, con onestà». Inoltre, i personaggi vanno ascoltati: Yasmina Reza, che è soprattutto una delle più grandi commediografe viventi, confessa di «fare le prove» per i dialoghi delle sue opere, ripetendo a voce alta ciò che scrive.
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Non è immedesimazione nella storia, ma rielaborazione di sé attraverso la memoria e l'immaginazione. John Banville trasporta il lettore nella coscienza dei suoi protagonisti: «scrivo in prima persona perché mi sembra il modo più naturale […] Posso conoscere me stesso solo da ciò che avviene nella mia testa». Emmanuel Carrère, scrittore di biografie, analizza il suo genere prediletto: «scrivere questo tipo di libri è come provare a immaginare altre virtualità di se stessi. È come se cercassi di volta in volta le persone più lontane da me, dicendo: “Non è così che conduco la mia vita” e volessi comprendere cosa vuol dire vivere in quel modo. Allo stesso tempo ci vuole qualcosa che faccia una eco, che crei un rapporto intimo, un momento in cui ci sia, malgrado tutto, un po’ di affinità». Javier Cercas è ancora più estremo: «tutta la fiction è autobiografica. Lo scrittore usa la propria vita, i propri sogni, le proprie letture, le proprie passioni per far diventare il particolare universale […] Che cosa fanno Shakespeare o Dostoevskij? Ci permettono di capire gli psicopatici, gli assassini, i deviati. Tracciano una mappa della natura umana».
Javier Cercas si spinge fino a stabilire uno scopo netto, inevitabile, della narrazione. «La letteratura è scrivere una finzione più vera della realtà, che permette al lettore di scoprire una verità a cui non si arriva attraverso l’esperienza o il giornalismo o lo studio storico: una verità morale». Petros Markaris, uno dei maestri del giallo “mediterraneo”, usa il genere «sia come sfondo che come pretesto per parlare della realtà storica e politica della Grecia», suo Paese di origine e ambientazione dei suoi romanzi. La presenza di un messaggio etico, sociale o politico viene dichiarata anche da Luis Sepúlveda: «condivido apertamente i miei valori etici e le mie idee, ma in una maniera estetica coerente con la bellezza della parola scritta».
Non ci sono dunque solo influssi inesplicabili e originalità ne L'arte di raccontare, che spesso è più vicina all'artigianato. Garlini e Bonvicini insistono fin dal prologo sul vero segreto del genio: fare una cosa e farla bene, attraverso una costante pratica di educazione al gusto. Studio ed esercizio vengono nascosti agli occhi del pubblico da quello che Garlini chiama “gossip letterario”, ovvero la ricerca di assonanze tra la vita dell'autore e il contenuto delle sue opere. Bonvicini invece sottolinea come la grandezza si alimenti con l'altrui grandezza: «Le scuole di scrittura possono esserci o non esserci, l'importante è leggere, e leggere bene, con l'occhio giusto». Petros Markaris è molto chiaro: «leggo molti gialli. Il problema dei gialli, come di ogni altro genere letterario di moda, è che c’è un sacco di paccottiglia. Quindi, dopo un po’ torno agli autori che amo di piú: Georges Simenon, Leonardo Sciascia, Manuel Vázquez Montalbán e Andrea Camilleri. Amo molto anche i romanzi di Dashiell Hammett e Raymond Chandler».
Oltre ai comandamenti, ci sono anche divieti: a ogni scrittore vengono chieste tre cose da non fare. È sorprendente come le indicazioni convergano in quattro punti: non rimanere in superficie, non essere falsi, non dare spiegazioni, non scrivere per pubblicare. L'arte di raccontare è sottoscrivere un patto di onestà con sé stessi e con il lettore, impegnandosi a sollecitarne l'immaginazione senza cercare il plauso dei critici o un successo da bestseller. Occorre una mente sgombra e pulita da falsi miti per aprirsi «con umiltà sul mistero della letteratura», l'«oscuro intreccio mano-mente-desiderio-ragione che crea l'opera». Ogni aspirante scrittore è invitato a creare lo spazio in cui far collidere mondo interiore e mondo esterno: per Alberto Garlini e Caterina Bonvicini, il segreto de L'arte di raccontare è una scintilla da contatto tra sé e gli altri.
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