L’apocalisse prossima ventura. “Sirene” di Laura Pugno
Di Laura Pugno, finalista quest’anno al Campiello con La ragazza selvaggia, viene riproposto sempre da Marsilio il primo romanzo, uscito dieci anni fa: Sirene. È un universo distopico quello con cui abbiamo a che fare, che ci inquieta e ci fa perdere fin da subito le rassicuranti coordinate spazio-temporali.
Sulla terra lo strato di ozono non protegge più la razza umana dai raggi del sole; così aumenta a dismisura, con le stimmate di una terribile epidemia, il cancro alla pelle: il cancro nero. Chi se lo può permettere vive in resort suboceanici in una zona vicina alla California del Sud; i poveracci invece possono soltanto fare la fine dei topi sopra la crosta terrestre o in bunker di seconda mano. Quando si ammalano gravemente vengono rinchiusi in zone di quarantena. Ogni traccia di Stato è polverizzata come lo strato di ozono: sono le mafie internazionali (in special modo la yakuza) a dettar legge.
In un mondo dove “tutto sta ritornando selvaggio” e la specie umana sta scomparendo, hanno fatto la loro apparizione le sirene («voraci come la loro fama, domate e addomesticate, le sirene non cantavano per l’orecchio umano. A volte emettevano un verso stridulo di gabbiano o di foca, ma il loro canto vero era un richiamo ultrasonico che faceva impazzire i cani, e forse, per quanto impercettibile all’udito, anche gli uomini»). Vengono allevate dalla yakuza in cattività per essere macellate (la carne di sirena, soprattutto il vitello, giovane e tenero, è un piatto prelibato), oppure ingravidate da dei “fuchi” maschi che dopo la monta vengono uccisi dalle femmine, con i loro denti affilati, in una specie di furiosa violenza post-coitale. Nel caso restino sterili sono quindi spostate in bordelli sotto il mare per sollazzare gli uomini rimasti («le sirene erano il nuovo sport sessuale, il nuovo caviale Beluga»).
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Samuel lavora agli allevamenti («era bravo a seguire la monta, a scartare i feti deformi, a selezionare il maschio per ogni femmina») ed è un uomo senza speranza (non è riuscito nemmeno a far carriera nell’organizzazione criminale). La sua amatissima compagna Sadako, una ragazza che gli è stata affidata dalla yakuza come se fosse un regalo, dopo esser stata il “divertimento” di altri uomini, è morta di cancro nero e anche per lui lo stadio ultimo del tumore è alle porte. Ha una passione per le sirene frutto anche della pulizia al cervello (memory cleansing) che gli è stata fatta per impedirgli di ricordare il trauma della morte dei suoi genitori: il padre, un killer della mafia, aveva sparato alla madre, per poi suicidarsi.
Il ricordo positivo della visita al Museo di Scienze Naturali a vedere delle sirene imbalsamate, prima della tragedia, era così emerso in primo piano. Nelle vasche di allevamento Samuel incontra e si accoppia con una sirena mezzoalbina («le più simili alla femmina della specie sapiens»). La mezzoalbina rimane incinta e prima di essere mandata alla macellazione partorirà un ibrido: «la forma del corpo, la coda, le minuscole mani palmate, la piccola sanguemisto aveva tutto della sirena. Solo i tratti del viso erano quasi umani. Una trascurabile anomalia, l’avrebbero giudicata i tecnici veterinari. Gli occhi avevano vere palpebre, non solo membrane trasparenti, anche se capaci di chiudersi ermeticamente come il bisogno della specie subacquea richiedeva, le labbra erano più carnose delle sottilissime strisce di mucosa che lui aveva leccato della madre. I denti erano affilati e mortali, come sempre nelle sirene».
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Samuel le dà il nome di Mia, decidendo di portarla via da lì. Chiederà aiuto ad un amico (Hassan), ma la yakuza, anche se a volte le sue azioni possono essere incomprensibili, vede e controlla tutto. Il tradimento del suo collega più giovane, Ken’nosuke, farà precipitare la situazione.
Più andavo avanti nella lettura di questo libro e più mi sembrava di assistere alle atmosfere allucinanti presenti nei film di Nicolas Winding Refn: lo scoppio anche inaspettato della violenza a cui l’uomo non può far a meno, la sopraffazione del più forte sul più debole, la valenza taumaturgica del dolore… Come ha ben evidenziato Demetrio Paolin in una recensione di qualche tempo fa, la poetica ossessiva di Laura Pugno ha per oggetto “il racconto dell’apocalisse”.
Sirene è un romanzo dalla lingua affilata e algida che rappresenta anche una riflessione sulla violenza di genere che accompagna i nostri tempi, con le donne troppo spesso violate dagli uomini, i quali sperano così di placare la loro inadeguatezza, la loro impotenza a gestire la complessità del reale. Samuel forse è un uomo diverso perché cerca il dialogo con Mia, sua figlia. Cerca di insegnarle il suo nome paterno, la sua identità in un incontro che però non può non tener conto della diversità.
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Soltanto imparando a rispettare, a salvaguardare l’alterità presente in natura l’uomo può spogliarsi della sua vanagloria, della sua pretesa di “onnipotenza divina” (come faceva dire Leopardi alla Natura in uno dei più famosi dialoghi delle Operette morali: «Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?»). Questo significherebbe far tornare le sirene in mare aperto, nella loro casa “naturale”: «l’epidemia (di cancro nero) sarebbe cessata solo quando l’umanità avesse restituito le sirene all’oceano, venerandole, mettendosi al loro servizio». Il mondo allora potrebbe rinascere, finalmente.
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