L’anima leggera della letteratura. “I sogni di un digiunatore” di Paolo Albani
Scrivere libri è una cosa seria, tutti possono concordare su questa piccola verità. O forse no.
Se questa domanda fosse argomento di una riunione di condominio, fra coloro che dissentirebbero si alzerebbe senza dubbio squillante la voce di Paolo Albani, autore poliedrico, poeta visivo, nonché performer italiano, e del suo ultimo libro, una vivace raccolta di racconti intitolata I sogni di un digiunatore e altre instabili visioni edito da Exorma e uscito nelle librerie il 18 ottobre scorso.
Le storie raccontate (alcune brevissime) sono tutte intrise di una comicità surreale, a tratti quasi ingiustificata e ingiustificabile, veri e propri nonsense tanto apprezzati da chi (Albani è membro dell’OpLePo e dell’Istituto Patafisico Vitellianese, due istituzioni nel campo della sperimentazione letteraria, spesso in direzione ludica) con la scrittura ama divertirsi e divertire, senza rinunciare a fare riflettere. Come nel racconto la badante, in cui si narra che a un povero anziano viene concesso l’aiuto di una signora ucraina, ma questa presenza poi lo spinge a migliorare, tanto da arrivare al punto in cui è l’anziano a fare da badante alla donna. O ancora il racconto Slide tanto caustico nella comicità quanto specchio della realtà: nel mondo immaginato nella stora tutte le minime conversazioni o i minimi sentimenti vengono esposti tramite presentazioni su Power Point, anche gli insulti in autostrada per un sorpasso azzardato, dopo il quale un automobilista sporge dal finestrino un pc con una slide indicante un dito medio.
Non stupisce quindi che in uno dei racconti più riusciti della raccolta, La guerra delle due teorie, Albani metta in scena con realismo quasi cronachistico, da reporter al fronte, le avanzate degli eserciti dei lamarckisti e dei darwinisti in lotta fra loro. In un testo che strizza l’occhio alle guerre di religione, l’autore riesce innanzitutto a fare ridere (come quando si racconta l’assalto dei darwinisti a una fabbrica di peluches di giraffa, simbolo di Lamarck e della sua teoria) portando poi però il lettore a riflettere, proprio come deve fare l’umorismo nella definizione pirandelliana.
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Il gioco letterario non è abbandonato dunque mai, in nessuna delle pagine che compongono il libro. Oltre ai racconti più palmarmente divertenti, il lusus scribendi di Albani si esprime anche in meccanismi più simili alla corrente surrealista e ai suoi continuatori, soprattutto Georges Pérec e l’italiano Giorgio Manganelli, vero padre artistico dello scrittore e spesso citato come tale. Ne è testimone il quinto testo, Fraseggio notturno, che raccoglie frasi fra le più disparate (da «Le scarpe mi stanno strette, cazzo» a «La ricreazione è sfinita») sotto la didascalia «Messaggi trasmessi (o trasmettibili) da Radio Londra durante la seconda guerra mondiale».
Non c’è quindi differenza fra ciò che si può scrivere e ciò che si scrive. Tutto si può scrivere e tutto è letteratura. Così però nulla è letteratura e scrivere è nulla. Tutto equivale a niente, in un sillogismo perfetto e assurdo: è il gioco combinatorio di Calvino e Pérec portato agli estremi.
Non manca poi il gioco erudito, il gossip letterario di chi ama la cultura e sa come servirsene, senza troppi timori reverenziali. Così Freud riprende vita fra le pagine di un racconto e si irrita contro Massimo Recalcati, colpevole di averlo contrariato citando le teorie di Lacan riguardo «l’ingombro fallico».
L’esempio massimo però della bibliofilia di Albani e del suo amore per la curiosità erudita si trova nel racconto eponimo, ovvero I sogni di un digiunatore, in cui, raccontando di Giovanni Succi e altri celebri “digiunatori professionisti” del XIX secolo, l’autore sciorina una quantità infinita di riferimenti dotti (soprattutto trattatelli ottocenteschi sconosciuti, fra cui figura uno di De Sanctis, ma anche richiami a Mark Twain o a Kafka non mancano) volti a spiegare scientificamente cosa si possa sognare durante il digiuno, scimmiottando i trattatisti del Settecento e Ottocento o, più recentemente, certe pagine di Umberto Eco.
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La voce “ilare e scherzosa” di Albani risuona così forte in questa multiforme raccolta, gettando su testi molti differenti una comune aura fatta di lazzi e boutades, che regalerà una piacevole lettura agli amanti del genere (il libro è una vera miniera per i ricercatori di citazioni, i bibliofili e gli altri tipi di “patafisici dilettanti”) e non.
Per la prima foto, copyright: Florencia Viadana.
Per la terza foto, la fonte è Wikipedia.
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