L’angolo della lettura, perché è così importante?
C’è un angolo nella nostra testa dove soltanto la parola può entrare. Nessuna nota, nessuna immagine, nessun numero. Soltanto la parola che diventa musica, immagine, fenomeno. È la parola degli scrittori che amiamo leggere, interpretare, condividere, al di là del tempo e dello spazio che ce li rendono lontani.
Perché quando leggiamo ci riconosciamo in quelle parole e non in altre, in quegli incipit di romanzo, in quelle pennellate di personaggi che ci vediamo ancora accanto un attimo prima di prendere sonno la sera.
Se lo immaginassimo “esterno” a noi, questo prezioso angolo potrebbe diventare uno spazio da vivere e condividere in uno scambio costruttivo di opinioni e suggerimenti di letture, riflessioni personali, confronti, evoluzioni. O soltanto un angolo della lettura in cui qualcuno ci ricorda per quante ore della nostra vita ci siamo incamminati su La strada di Swann con gli occhi che correvano avanti e indietro eccitati da una rivelazione. Come quando ci si concretizza davanti un mondo che davvero esiste e davvero possiamo toccare e visitare e di cui possiamo godere con quel sorriso di meraviglia stampato sulla faccia ogni volta che andiamo dentro le parole e scopriamo che il nostro ideale di scrittore e di scrittura esiste e si chiama Proust.
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Interrogandosi sulla funzione sana Del piacere di leggere, Marcel Proust ci ricorda così certi momenti:
«Poi l'ultima pagina era letta, il libro era finito. Si trattava allora di arrestare la corsa sfrenata degli occhi e della voce che seguiva senza suono, fermandosi solo per riprendere fiato con un respiro profondo. Infine per sostituire un altro movimento a quello tumultuoso che si era scatenato dentro di me da troppo tempo per potersi calmare d'un tratto, mi alzavo e mi mettevo a camminare intorno al letto, gli occhi ancora fissi su un punto che inutilmente si sarebbe cercato nella stanza o fuori perché situato a una distanza d'anima, una di quelle distanze che non si misurano in metri o leghe come le altre e che del resto è impossibile confondere con queste quando si guardano gli occhi «lontani» di chi pensa “ad altro”.» (Marcel Proust, Del piacere di leggere)
LEGGI ANCHE – Perché leggere è importante? Le risposte di Marcel Proust
Immersi in lui, nella sua estrema sensibilità e forza, nell’evanescenza di certe descrizioni, nelle catene di aggettivi che mai potremmo cambiare o invertire, qualcuno di noi avrà detto a se stesso che così avrebbe voluto scrivere un giorno.
E se non proprio scrivere allora crescere sulla lettura di pagine come quelle di Pessoa che a volte assolvono al bisogno di condivisione, come un amico che ci ascolta nei monologhi dell’inquietudine. Perché leggendo Il libro dell’Inquietudine sappiamo che prima di noi qualcun altro simile a noi ha vissuto, scrivendole, le stesse identiche quanto necessarie sconfitte.
«La letteratura che è l’arte sposata del pensiero, e la realizzazione senza la macchia della realtà, mi sembra il fine a cui dovrebbe tendere ogni sforzo umano se fosse veramente umano e non una cosa superflua dell’animalità. Credo che dire una cosa significhi conservare la sua virtù e toglierle il suo spavento. I campi sono più verdi nel dirsi che nel loro verde. I fiori, se saranno descritti con frasi che li definiscono nell’aria dell’immaginazione, avranno colori permanenti in una forma che la vita cellulare non consente.» (F. Pessoa, Il libro dell’Inquietudine, §257 (520))
Sembra proprio un inno alla forma della scrittura che amiamo leggere perché, come ci ricordano i versi di Emily Dickinson «Non esiste un vascello veloce come un libro/per portarci in terre lontane/né corsieri come una pagina di poesia che si impenna/questa traversata può farla anche il povero/ senza oppressione di pedaggio/ tanto è frugale il carro dell’anima.»
Lontani dal commentare la scelta di vivere esclusivamente per la scrittura e la lettura, immersa in quell’isolamento cercato con ostinazione e coraggio, Emily è un esempio per chi ama leggere. Il critico letterario Barbara Lanati ce la presenta nella biografia Vita di Emily Dickinson – l’alfabeto dell’estasi che tutti, vecchi e giovani lettori, dovremmo prima o poi scorrere vestendo i panni dell’antropologo, dell’adolescente o del curioso, per conoscere l’opera di una straordinaria scrittrice e poetessa.
Ma chi coltiva questo tipo di amore non si limita ai pochi esempi già menzionati.
Nell’angolo della lettura si infila di tutto, purché sia fatto di parole e profumi di carta. Proprio come il caro Firmino di Sam Savage che si “nutre” di libri per non morire.
Sì, perché come il brutto topino, anche noi ci costruiamo un particolare nascondiglio in cui leggere anche parole di “rispetto” verso chi dedica il proprio tempo a chi scrive. È il caso di Raymond Carver che nel capitolo “John Gardner: lo scrittore come maestro” in Il mestiere di scrivere ci ricorda:
«Gardner era convinto che se le parole della narrazione rimangono confuse e sfuocate perché l’autore è stato insensibile, distratto o troppo sentimentale, il racconto che ne risulta soffre di un grosso handicap. Ma c’è anche un pericolo peggiore, da evitare a tutti i costi: se le parole e i sentimenti sono disonesti, se l’autore bara e scrive di cose che non gli stanno a cuore o di cui non è convinto, allora non può aspettarsi che qualcun altro mostri interesse per il racconto.»
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Ogni scrittore dunque trasferisce nella sua opera un valore di verità che, se tradito, disorienta noi lettori, anche soltanto con poche righe.
Di tutti gli scrittori elencati nessuno mi ha mai tradito. Spero sia opinione comune tra chi ha scoperto l’angolo di questa lettura.
Copyright delle foto in ordine di inserimento: Jilbert Ebrahimi, Annie Spratt e Alfons Morales.
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