L’amore è immersione
Un libro che corre lungo le fibre più intime del corpo, che si immerge nella totalità dell’essere con tutte le sue spigolature, in totale dedizione all’amore, inteso in senso carnale e spirituale.
Un amore autentico, profondo, vero, audace, elettrico, sensuale, ridente e pensoso è il contenuto di Emersione di Benedetta Palmieri edito da Nutrimenti nel 2021.
La scrittrice torna in libreria dopo dieci anni di silenzio: nel 2011 pubblicò i Funeracconti Feltrinelli, terzo classificato al premio Tropea. Un libro di esordio che l’ha fatta entrare nella rosa dei più importanti scrittori contemporanei.
Dopo il silenzio, una profusione di parole, vivide come un sogno in fase rem, con immagini potenti come la forza di Eros che squarcia il cuore e la mente, si riversa in questa totale immersione di una lettera di amore al proprio uomo, appena suicidatosi.
Napoli e la Sicilia e il ricordo di Stromboli in lontananza fanno da scenario all’opera, che non ha plot, personaggi, intrecci, trama ed è perciò un libro non da leggere tutto d’un fiato, come si suole dire, ma su cui riflettere lentamente, centellinando ogni parola. Parole, parole di senso che sono pensate e squadrate, indi squadernate in un lungo soliloquio rivolto al proprio uomo, assente, morto, gelido, con la rievocazione di ciò che fu, di tutto quanto faceva sognare, costruire, progettare, edificare sulla base di un sentimento condiviso fino al silenzio, all’allontanamento, alla morte. Cosa avrebbe potuto fare l’amata? Come avrebbe potuto trattenere a sé l’oggetto concupito? Come avrebbe potuto stornare la morte?
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Se non si fossero mai lasciati forse lui sarebbe ancora in vita o forse era scritto che così sarebbe finita: lei lo aveva capito fin dai primi incontri che quell’uomo si sarebbe fatto fuori, non avrebbe aspettato l’invecchiamento e la morte naturale; alla morte sarebbe corso incontro in modo furioso, ponendo fine alle tribolazioni terrene.
Sì, perché anche quando vivevano i momenti più belli e veri, quando osservavano le rose nel terrazzo e se ne prendevano cura (cosa è mai la vita se non prendersene cura come di un fiore che aspetta l’acqua del mattino?), un che di oscuro e melanconico si allungava su quell’anima bella, che si muoveva nella vita come in un adagio di Albinoni, sempre con un occhio rivolto alla sua amata, mentre qualche tarlo della mente lo consumava.
Eppure è stata una bella storia che vale la pena di rievocare dai suoi esordi al suo collasso, nei momenti di apice del sentimento che ancora corre nelle fibre profonde di chi scrive e in quelli di stasi, di morte apparente del loro sentire. Come sarebbe oggi il loro amore, se non gli avessero posto fine, se lui non si fosse fatto fuori in modo violento?
La vita è questo continuo rimescolamento delle carte, questo gioco d’azzardo che ci rende prima elettrici poi inebetiti e sconfortati, ma anche così tanto felici quando lei dormiva attaccata ai boxer del suo uomo, in un gesto di tenerezza estremo, che lui tanto amava e che lo svegliava al mattino pronto a portare avanti questa avventura sentimentale che riempiva loro la vita.
Una vita che accoglievano sempre con rinnovato entusiasmo, tutta da progettare tra Napoli e la Sicilia, tra il sole e le ombre che si allungavano la sera, quando si rifugiavano con maggiore stupore nel loro amore. Una vita anche spericolata, tutta da bere, da sorseggiare con cura, ma anche con una certa foga, una vita da piegare e non a cui piegarsi, così con quella spontaneità del gesto e del sorriso, con quel muoversi ondivago del sentimento da inseguire con rinnovato afflato. Oggi tutto è spento e un po’ di senso di colpa e di rabbia attraversa la scrittura, tuttavia vale la pena di rievocare, di perdonare e perdonarsi per rinascere a nuova vita.
Scrittura densa, corposa, sentimentale, vera, autentica, quella che ti trascina davanti lo specchio a dire: si parla anche di me, perché io provo lo stesso sentire; io vivo in queste 160 pagine che sono un tributo a quell’amore che è il senso della vita. Che bella la giovinezza! Anche io ho amato e sono stata amata, perché, se ciascuno è unico, l’amore è molteplice.
L’amore che bella parola! A-mors ci tiene lontani dalla morte. La morte la storna, la allontana, ci mette a contatto col nostro sé superiore, ci rinnova con la fiducia nel bello che certo verrà. Perché se l’amore è bellezza, ascolto del proprio corpo e rovesciamento del proprio io nell’io dell’altro, esso è sostanzialmente un guardarsi, un’osservazione neutra, un muoversi dentro in estasi, come nella danza di Shiva, dove tutte le parti si corrispondono in un unico sentire, che è condivisione e apprezzamento di sé e dell’altro. È un sentire l’altro da sé, unire il molteplice nell’unico, l’amore è un muoversi verso, è un moto interiore che costruisce con lena infaticabile, perché l’amore di sé è costruzione dell’altro. Bisogna essere produttivi di amore, il mondo è una nostra rappresentazione e più amore ci portiamo dentro più siamo in grado di rappresentare il mondo.
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Io direi che Benedetta Palmieri, con il suo stile riconoscibilissimo, col il suo tutto personale giocare con le parole, in un canto lirico(oh quanto di poetico ho rintracciato nel fluire incessante del suo gioco verboso!) si eleva e ci eleva verso le vette del sublime, anche kantiano, perché di fronte allo smisurato non si può che avvertire la vertigine del pensiero e la sua rientranza, lo scoramento dei sensi e l’esaltazione della ragione che ci fanno dire: Io sono vivo! Ecco, questo mi ha comunicato il canto all’amore dell’autrice, in un ‘opera che non ha trama e che, pur essendo un’indagine personalissima sulla potenza di Eros, non ha nulla di ombelicale, perché tutto è rivolto all’altro che si ama, di un amore che supera le barriere dello spazio-tempo.
Per la prima foto, copyright: Cassie Lopez su Unsplash.
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