L’amore e il rimpianto tardivo. “Risposta a una lettera di Helga” di Bergsveinn Birgisson
Risposta a una lettera di Helga (edito da Bompiani, traduzione di Silvia Cosimini), ultimo romanzo dell’islandese Bergsveinn Birgisson, è un testo che, sin dal titolo, rivendica l’appartenenza a un genere ben preciso, quello epistolare. Il motivo della scelta di un genere, a oggi almeno, alquanto inusitato ci pare che possa essere ritrovato nel sentimento che domina l’intero libro: l’amore. Passando dalle “lettere d’amore”, potenzialmente parte dalla letteratura privata di ciascuno, fino al caso di un Abelardo ed Eloisa, è innegabile che la forma-lettera costituisca un mezzo privilegiato per affrontare la tematica amorosa. A suo vantaggio, in tale senso, si consideri, in una lettera monologante, la possibilità dello scrivente di esprimere i suoi sentimenti alla persona amata, “di lontano”, opzione scelta proprio da Bjorni, protagonista del romanzo, per rispondere alla sua Helga. D’altra parte, anche un epistolario dialogante, qui escluso, non è forse il modo più immediato per mettere in scena, o meglio, su carta, una relazione? Attraverso la lettura di epistolari simili è infatti possibile ricostruire, nella nostra mente, un’immagine degli innamorati, polarità dialoganti che, attraverso la scrittura, cercano di “raggiungersi” esplicitando il proprio sentire, possibilità esclusa proprio da Bjorni che, ormai novantenne e sull’orlo dell’abisso mortale, decide di rispondere volutamente tardi a una lettera d’amore. Sul letto che lo vede morente, il contadino e allevatore islandese inizia a raccontare all’amata Helga il suo amore per lei. Nel farlo, non tralascia nulla: passa dall’amicizia iniziale, all’attrazione, ai primi incontri sensuali, fino a toccare le zone d’ombra di una relazione apparentemente perfetta.
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Il contesto che fa da sfondo a questo rapporto a due è, anzitutto, un luogo “altro” e lontano.La terra in questione è la magica Islanda, terra popolata di spiriti in cui si praticano ancora allevamento e agricoltura tradizionali, in un tempo parimenti distante «Quello stesso anno furono sganciate le bombe sul Giappone» ci viene dice. Così grazie alla fascinazione per l’Islanda, su cui l’autore gioca consapevolmente, e la collocazione negli anni Quaranta, Birgisson riesce a produrre un testo impregnato di un esotismo sui generis, nordico, che avvince il lettore attraverso la lontananza e la sospensione in cui la vicenda si proietta. L’esotismo in questione tuttavia si estende ben al di là del cronotopo (spazio-tempo) perché, a ben vedere, anche le attività svolte dai personaggi rientrano in una dimensione materiale e contadina cui oggi siamo disabituati. Bjorni ed Helga danno avvio alla loro relazione adulterina in un mondo dominato dai doveri dell’economia agricola fra animali da guardare, attrezzi da riparare e fiere del bestiame. Questo ambientare la storia in una realtà così materica e corporea, dove non di rado sono poste in luce le percezioni sensoriali, ha inevitabilmente un riflesso sulla rappresentazione degli amanti. Se, come la topica vuole, il primo senso a entrare in gioco nella fenomenologia amorosa è la vista, a esso seguono i più inusuali tatto e olfatto.
«Se vedevo un poggio rotondo o una protuberanza di terra convessa, nella mia mente tali curve si confondevano con le tue, tanto che non comprendevo più il mondo in sé e per sé, ma soltanto te nelle manifestazioni del mondo.»
Così una trilogia sensoriale è chiamata, quasi gerarchicamente, a dare conto di un’unione, fino all’extra-vagante olfatto che permea i corpi dei due amanti durante i loro incontri, così come il bestiame che accudiscono. Non di rado, infatti, Bjorni ed Helga passano da un sentimento d’amore nobile ed elevato alla più bieca e animalesca lussuria. Del resto, è da animali che, per il loro lavoro, sono costretti a essere circondati; un mondo animale che è, al contempo, liberatore di inibizioni e “galeotto” del loro amore segreto. È proprio grazie al lavoro condiviso, di allevatori, che Helga e Bjorni riescono a trovare, l’uno nell’altra, un riparo sensuale e affettivo da matrimoni infelici. Tuttavia, proprio quel mondo animale e quell’amore per la terra islandese finiranno per essere la causa della loro separazione, trasformandosi così da aiutanti degli eroi, per usare una terminologia cara allo strutturalismo, ad antagonisti.
Nel momento in cui Helga propone a Bjorni la fuga in città, nella dinamica Reykjavík, lui le oppone “le ragioni della campagna”. In tal modo, la stessa campagna che era stata, per gli amanti, un’amica diventa un ostacolo insormontabile. Lei vuole la fuga, lui la staticità. Per lui campi e bestiame sono più di un lavoro, sono le sue radici:
«Andarmene dal distretto dove i miei antenati avevano vissuto per un intero millennio per lavorare in una città dove nessuno vede mai il prodotto delle proprie mani e diventa fittavolo e schiavo di qualcun altro?»
Ma sono anche un principio di fede nella piccola economia agricola:
«Forse il mio credo nell’Associazione delle cooperative islandesi è stato una sorta di religione all’inizio. […] Ma ho assistito al declino delle cooperative e anche dell’allevamento ovino mentre gli ideali venivano dimenticati per strada, e pure i contadini.»
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E rappresentano infine una certezza cognitiva ed esistenziale
«Ho imparato a leggere le narici del toro. Ho sentito la natura potente delle mie bestie avvolgermi e invigorirmi. Ho visto gli elfi vestiti di azzurro e ho sentito gli spiriti tutelari bussare alla porta. […] Ho sentito l’angoscia del fogliame in un’eclissi lunare […] Ho sentito il ruscello sussurrare l’eternità. Ho fatto della terra la mia amata.»
Dunque, nella dicotomia città-campagna, coppia-individuo sembra che, a perdere, siano i primi termini; sembra, perché il rimpianto rimane e la risposta, seppure tardiva, a quella lettera d’amore Bjorni la scrive: un infinito lamento di ciò che avrebbe potuto essere e, per libera scelta, non è stato.
Per la prima foto, copyright: Priscilla Du Preez.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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