L’amico a quattro zampe di Giovanni Falcone
Il cane di Falcone, uscito per Fazi, a firma di Dario Levantino è un’avventura, un viaggio tra fatti noti e meno noti, ma soprattutto tra sentimenti del tutto inediti.
A raccontarci la storia è Uccio, un cane randagio che conquista subito con la sua tenacia e voglia di farcela, nonostante tutto. L’incontro fortuito con Giovanni Falcone gli permette di vedere il magistrato all’opera, nel suo tribunale, alle prese con i pensieri più solitari, e dà a noi l’occasione di ripensare a una vicenda che ha scosso in profondità la storia italiana.
Di come è nata l’idea de Il cane di Falcone, dell’importanza dell’impegno di Giovanni Falcone oggi e di tanto altro abbiamo parlato con Dario Levantino.
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Una prospettiva molto interessante quella di Il cane di Falcone. Come nasce l’idea del libro e quella di affidare a Uccio la voce narrante?
Sono cresciuto negli anni ’90 con i vari sceneggiati su Giovanni Falcone, che ho sempre trovato pesanti, a tratti insopportabili, perché appesantiti da una narrazione troppo declamatoria. Memore di queste impressioni, mi interessava tornare sull’argomento, perché Falcone è uno dei miei eroi, ma in maniera diversa, con più leggerezza.
Così, quando ho letto la notizia di cronaca di Uccio, il cane randagio vissuto presso il Palazzo di giustizia di Palermo ai piedi della statua di Falcone, mi sono emozionato perché l’ho trovata una storia potentissima. Tra tutti i luoghi possibili quel cane aveva scelto proprio il luogo più significativo, quasi a guardia del giudice Falcone e della sua memoria. A ben ragione, i magistrati e gli avvocati che si erano preso cura di lui lo avevano soprannominato: Il cane di Falcone.
La foto riportata nell’articolo de Il corriere della sera, poi, era molto suggestiva: lui, ai piedi della statua, che guardava, fiero e guardingo, verso l’obiettivo.
È stato un attimo: sarebbe stato lui a raccontare la storia di Falcone.
Cosa ci dice dell’uomo l’amore, il senso di protezione che Giovanni Falcone sente per il randagio che soccorre?
Giovanni Falcone nel romanzo accudisce questo cane randagio, difendendolo da una giunta condominiale che vuole chiamare un canile per farlo sopprimere. Tra loro due nasce un’amicizia che si nutre su una fatale corrispondenza di destini: Uccio è un cane abbandonato, anche il magistrato antimafia presto lo sarà dalle istituzioni; entrambi sono, diversamente, vittime della ferocia di Giovanni Brusca; entrambi sono ironici, posseggono un certo fatalismo che li rende esseri sensibili. Si somigliano tantissimo. Falcone, soccorrendo il cane, soccorre in primis se stesso.
Quanto sono attuali l’impegno e la storia di Giovanni Falcone?
È una domanda che mi pongono spesso gli studenti a cui parlo della sua figura. È una domanda insidiosa e bisognerebbe fare dei distinguo.
La mafia è cambiata, non è più quella della Commissione di Totò Riina: è cambiato il suo modo di delinquere, non esistono più gli omicidi in stile anni ’80, né oggi la mafia detiene il 30% del mercato di eroina negli Stati Uniti d’America. Allo stesso modo è cambiato anche il metodo di indagine, che oggi ha superato il Follow the money di Falcone, che semmai può costituire la base. Se la intendiamo così, allora no, la sua storia non è più attuale.
Se invece assumiamo un punto di vista più macroscopico, la storia di Giovanni Falcone è, e sarà sempre, attuale, perché ci insegna i valori del coraggio, del dovere civico, del sacrificio e del bene e del male. Questo mi interessa molto di più, su questo cerco di riflettere con gli studenti.
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Gli occhi di Uccio vedono e spiegano la mafia in modo diretto. Quali difficoltà ha incontrato nel presentare una pagina della storia italiana di così grande rilevanza attraverso gli occhi di un cane?
È stato difficile semplificare un tema serio e complesso come la mafia senza banalizzarlo, ho scritto il romanzo proprio con questo filtro. Lo sguardo del cane - ingenuo e incantato, ma arguto – mi ha aiutato perché somiglia a quello di un bambino, solo all’apparenza ingenuo, ma a bene vedere lucido, perché un bambino a differenza di un adulto sa ancora sognare.
La difficoltà più insidiosa, poi, l’ho trovata nel capitolo sulla collaborazione di Tommaso Buscetta con Falcone. Il punto era: il Boss dei due mondi, divenuto collaboratore nell’estate del 1984, stimava oltre misura il giudice Falcone, e quest’ultimo era stato in grado di stabilire con lui un canale comunicativo, forse addirittura “emotivo”. Il rischio, nella narrazione, era che quei due sembrassero amici, e questa sarebbe stata una mistificazione. Invece i confini dovevano restare netti: Buscetta e Falcone amici, di certo, non potevano essere.
Quel capitolo l’ho scritto e riscritto almeno cinque volte.
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Per la terza foto di Mathia Coco, la fonte è qui.
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