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L’alieno triste alle prese col bullismo. Un estratto da “Felice all’infinito” di Elena Mearini

L’alieno triste alle prese col bullismo. Un estratto da “Felice all’infinito” di Elena MeariniÈ una storia sul bullismo quella al centro di Felice all’infinito di Elena Mearini, in libreria dal prossimo 21 novembre per Giulio Perrone Editore.

Felice, il protagonista del romanzo, è un ragazzino magrissimo e con un modo di pensare assai bizzarro. Le due caratteristiche lo trasformano in un facile bersaglio per i bulli della scuola che lo prendono in giro, chiamandolo l’Alieno.

Sarà la nonna ad aiutarlo a resistere trasmettendogli la sua passione per la cucina e aiutandolo a diventare così un cuoco provetto.

Vi presentiamo in anteprima un estratto dal primo capitolo.

 

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La Bovisa è un quartiere di case non tanto alte, alcune hanno i colori chiari dei pastelli, quella di Felice somiglia a un cubo disegnato da un bimbo. A lui non dispiace vivere in un posto che ricorda gli astucci e i quaderni della scuola elementare.

In quegli anni sedeva al primo banco, i compagni lo consideravano il più simpatico, la maestra il più intelligente, persino la bidella gli diceva sei bellissimo, il più bello di tutta la scuola.

Erano anni in cui il segno meno non sapeva neanche che Felice esistesse, aveva soltanto il più attorno a sé.

Trascorreva giorni fatti di somme, nemmeno un minuto di sottrazione.

Suona il campanello di casa rimpiangendo la matematica felice di un periodo ormai lontano.

L’alieno triste alle prese col bullismo. Un estratto da “Felice all’infinito” di Elena Mearini

Nonna Lea gli viene incontro con il buffo grembiule comprato al mercatino di beneficenza che la chiesa organizza ogni terza domenica del mese. Stoffa scozzese e una mela rossa stampata sul petto, pare la tovaglia di un’osteria che propone piatti a base di frutta. Felice guarda la nonna immaginando che sapore possa avere il risotto con le pere, la frittata alle fragole oppure una lasagna all’arancia.

Cice, a guardarti metti fame, sei magro, un filo per cucire gli orli, mangia. In cucina trovi pane, burro e limone che ti piace tanto. Vai, mangia.

“Cice”, è così che la nonna lo chiama, con un diminutivo che suona come un mezzo bacio schioccato sulla guancia.

Felice posa lo zaino sul divanetto che separa la specchiera dalla credenza, ringrazia la nonna per le fette di pane riposte a raggiera nel piatto, si siede al tavolo della cucina e addenta la crosta ammorbidita dal burro.

La mollica è appena tostata, quel tanto che serve a sostenere i granelli di zucchero innaffiati con succo di limone. L’equilibrio del gusto è perfetto, da fare invidia a un funambolo.

A mangiare i dolci di nonna Lea ci si sente sospesi nell’aria, Felice cammina sopra una corda tesa da una stella all’altra ad ogni boccone che gli scende in pancia.

Andrebbe tutto a meraviglia se non fosse per gli occhi che perdono lacrime. Capita spesso, nell’ultimo periodo, quando arriva l’ora della merenda si verifica una specie di guasto idraulico alle pupille, Felice comincia a vedere le cose sfuocate, la vista gli si appanna e piccole gocce ovali scivolano lungo le guance.

Lui vorrebbe fermarle, ricacciarle indietro, cerca di sbattere forte le palpebre per frenarne la caduta ma loro niente, fanno le dive capricciose, devono prendersi la scena, si rifiutano di tornare dietro le quinte.

Molte cose indesiderate arrivano gratis, e tu non puoi fare altro che accettarle.

La storia si ripete ormai da tre giorni consecutivi. Prima capitava un giorno sì e due no, una frequenza meno impegnativa, più facile da sopportare.

Ieri è successo con la crostata di albicocche e cannella, le lacrime sono cadute sopra la polverina marrone creando piccole pozze che sembravano fango. Succede la stessa cosa alle strade sterrate quando la pioggia batte forte, si crea una poltiglia di terra che scoraggia i passi. Scappa la voglia di camminarci sopra.

Felice ha lasciato a metà la fetta di crostata, ci ha visto una strada non più percorribile. La nonna non gli ha chiesto perché, per una specie di riguardo forse, come avvertisse la presenza di un dispiacere che non voleva essere disturbato.

Si è limitata ad avvolgere la crostata rimasta nella pellicola trasparente e a riporla poi accanto al barattolo dei biscotti.

Nonna, la tua torta era buona, sono io che non ho molta fame oggi. Felice non voleva che la nonna si sentisse responsabile della merenda interrotta, così ha mentito. Però è stata una bugia buona, di quelle che si schierano dalla parte dei cuori gentili e non ti mandano all’inferno.

A lui non piace dirle, ma se deve scegliere tra una bugia buona e una verità cattiva, allora meglio la prima.

Adesso però deve impegnarsi e finire pane, burro e limone. Altrimenti nonna Lea si offende, un’altra bugia diventa troppo, pure se buona e gentile.

Il punto è che lui si sente stanco di subire le cose ingiuste, chinare la testa quando vorrebbe tenerla dritta, ingoiare le parole quando gli verrebbe da sputare un vocabolario intero, dire sì a tutto e no a niente.

Costa troppa fatica volere bene alle cose cattive, così tanta che poi ci si ammala della peggiore influenza, quella che guasta gli occhi causando un’incontrollabile perdita di lacrime.

L’alieno triste alle prese col bullismo. Un estratto da “Felice all’infinito” di Elena Mearini

Mentre la mollica impastata nel burro si scioglie in bocca, ripensa al martedì della scorsa settimana. Appena arrivato in classe, la campanella d’inizio suonata da pochi minuti, la prof che beve l’ultimo sorso di caffè sulla soglia della porta, i compagni con le facce serie, così tanto da risultare finte, disegnate con una matita severa.

Si stanno sforzando, trattengono una risata che non deve scoppiare, non adesso almeno. Tra qualche istante, magari, quando Felice avrà sistemato l’astuccio sul banco e sarà costretto a guardare gli scarabocchi che lo ricoprono. Omini neri fatti con il pennarello blu a punta larga, omini tutti uguali, la testa a forma di oliva, il corpo di uno stuzzicadenti, braccia e gambe come rami secchi e poi la bocca triste che sembra il profilo della pancia di un uomo sdraiato e grasso.

Li guarda, Felice, uno dopo l’altro li osserva mentre i compagni si liberano delle facce finte e serie e cominciano a ridere, ridono di pancia, di gola, di naso, con il corpo tutto si prendono gioco di lui che resta inchiodato al banco, gli occhi fissi agli omini che lo ritraggono, gli omini che replicano la sua immagine di alieno triste.

 

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È così che Andrea e gli altri lo chiamano, è così che lo vedono.

Un alieno triste, cacciato dal proprio pianeta e mandato in esilio sulla terra, troppo triste da sopportare pure per i suoi simili.


Per la prima foto, copyright: Arnel Hasanovic on Unsplash.

Per la terza foto, la fonte è qui.

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