L’affresco delle nostre ipocrisie. “La forza della natura” di Antonio Leotti
Lo sceneggiatore Antonio Leotti, vincitore di tre David di Donatello, due nastri d’argento e quattro Ciak d’oro, noto per aver scritto a quattro mani con Luciano Ligabue Radiofreccia (1998), ma anche la sceneggiatura de Il partigiano Johnny, film di Guido Chiesa uscito nelle sale ormai venti anni fa, è anche saggista e scrittore (il suo esordio è avvenuto con Il giorno del settimo cielo, pubblicato nel 2007 da Fandango). L’ultima uscita è dello scorso febbraio, La forza della natura, edito da Marsilio.
Protagonista è Anna, giovane vedova («una o è vedova, o è una ragazza», come dice lei stessa) che si trova, lei sola, a ereditare una bella fortuna, che va sommata alla ricchezza che ha ereditato dal padre, signorotto del paese.
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Leotti, con il suo inizio in medias res, riesce a mettere in scena (metafora non certo casuale) l’affresco delle ipocrisie della gente, le lacrime, i sorrisi, i risolini e soprattutto gli odori che fanno da contorno alle emozioni di Anna, che appare, a tutta prima, una nuova Regina Lampert (l’indimenticabile personaggio interpretato da Audrey Hepburn nel 1963 nel film Sciarada di Stanley Donen): una donna elegante, algida e indifferente alla morte del marito. Un altro preziosismo che salta all’occhio e personalmente ho molto apprezzato è il titolo di ogni capitolo, ripreso dalla prima riga, probabilmente una citazione a Fruttero e Lucentini e al loro capolavoro La donna della domenica.
Anna si muove nel suo confortevole egoismo fino a quando un evento la scuote: per una causa con la famiglia Rencinai, fattori nel suo podere, è costretta a tornare nel paese natale. Qui ritrova alcuni personaggi, come l’avvocato Pompei e Paolo, amico di infanzia. Per quanto Anna abbia cercato, con tutte le forze, di smarcarsi dalle sue origini, costretta a rimanere in paese per più di un giorno a causa di un imprevisto, affronta delle situazioni a cui non è abituata e finisce per diventare una donna diversa.
Il romanzo di Leotti è corale proprio come in un film, le scene, brevi e secche, si avvicendano in un perfetto montaggio e il punto di vista cambia di continuo, dando voce ai diversi personaggi, anche quelli che si limitano ad attraversare il romanzo in linea trasversale come un granchio, senza lasciare orme dietro di sé: è il caso di Roberto, un malavitoso romano, che finisce per redimersi grazie ad Anna.
Una pecca che si riscontra, però, è che mentre i dialoghi sono frizzanti e a tratti divertenti, la trama, dopo i primi capitoli, subisce una battuta d’arresto, attorcigliandosi intorno a scene banali e fatue, che annoiano il lettore. Passa il tempo, per Anna e tutti gli altri personaggi, di colpo, senza dare a chi legge il piacere di assaporare la maturazione e i cambiamenti. Ci viene detto che la loro pelle invecchia da una pagina all’altra, e dunque mi chiedo: non hanno forse i lettori il diritto di essere testimoni, pagina dopo pagina, di questo cambiamento? Elena Ferrante ci ha ben abituato, nella saga de L’amica geniale, accompagnandoci dall’infanzia alla maturità delle sue protagoniste, facendoci sentire sulle spalle gli anni, come se fossero i nostri. Inoltre, non è ben centrata l’epoca in cui si svolge la vicenda: c’è qualche riferimento, come il fatto che si usi ancora la lira, che fa capire che non si è arrivati al Duemila, tuttavia rimane tutto fin troppo nebuloso.
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Lo stile mi ha ricordato quello scanzonato e comico di Andrea Vitali e Stefania Bertola, che però riescono sempre a far quadrare ogni tassello. Tornando ad Anna, dopo i primi capitoli dove risulta un personaggio accattivante, i toni si smorzano troppo, e anche lei viene a noia, perdendo quasi lo status di protagonista e rimanendo sullo sfondo. Dovrebbe essere una sorta di “Bocca di Rosa” inconsapevole, magnetica e affascinante, ma al lettore finisce per risultare quasi sgradevole.
In conclusione, quello che si rimprovera allo stile di Leotti è un’eccessiva mancanza di costanza: dopo capitoli di stasi, ecco che il finale riporta il lettore in alto, il ritmo diventa finalmente incalzante, Anna ottiene di nuovo lo scettro da protagonista e matura definitivamente. Omnia vincit amor, diceva Virgilio: quanto aveva ragione.
Per la prima foto, copyright: Jeryd Gillum su Unsplash.
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