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Jonathan Gottschall a Milano: “L’istinto di narrare”

Jonathan Gottschall, L'istinto di narrareJonathan Gottschall ha parlato alla Fondazione Feltrinelli di Milano del suo ultimo libro L’istinto di narrare – come le storie ci hanno resi umani (traduzione di Giuliana Olivero, Bollati Boringhieri, 2014), all’interno di una serie di incontri culturali tesi ad approfondire le tematiche legate al futuro del libro.

Il titolo originale del libro The Storytelling Animal. How Stories Make Us Human, introduce meglio di quello italiano il succo delle teorie di Gottschall, esponente di ciò che viene definito darwinismo letterario: l’uomo è per natura un animale narratore, e nessun altro animale dipende come lui dalla narrazione, un comportamento antichissimo che si può considerare innato.

Secondo Gottschall, la propensione dell’uomo alla narrazione discende da ragioni evolutive. Noi passiamo la maggior parte della nostra esistenza ad assorbire  storie, non solo leggendo romanzi e racconti, naturalmente, ma anche guardando diverse ore di televisione al giorno, fatte soprattutto di fiction (molti più film, telefilm e reality che notiziari o altro), e persino ascoltando canzoni.  Sebbene non sempre ce ne rendiamo conto, passiamo anche molto tempo a raccontare storie: chiacchierando con le altre persone, a cui riferiamo spesso notizie in forma di racconto, e leggendo fiabe ai nostri figli, senza dimenticare i sogni, in cui l’inconscio ci trasmette i suoi messaggi sotto forma di vicende compiute, che spesso possiamo raccontare al risveglio.

L’istinto di narrare non è solo un testo letterario, perché per spiegare le sue tesi Gottschall ricorre alle neuroscienze, dedicando alcuni capitoli ai più recenti studi sul funzionamento del cervello umano e agli esperimenti condotti per registrarne le reazioni in determinate situazioni.

Ricordando lo spavento provato dagli spettatori che assistettero alla prima proiezione del film dei fratelli Lumière L’arrivo del treno alla stazione di La Ciotat, e confrontandolo con le reazioni registrate pochi anni fa in un cinema tra coloro che assistevano a Paranormal Activity, ci si può chiedere perché un disincantato spettatore contemporaneo, sapendo benissimo che ciò che appare sullo schermo è un racconto di finzione, possa ancora provare ansia, paura, addirittura terrore di fronte a certe immagini.

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Jonathan GottschallLa risposta sta nel fatto che il cervello reagisce automaticamente a determinate situazioni, rendendoci partecipi più di quanto noi pensiamo e facendoci condividere le sensazioni dei personaggi, a dispetto del fatto che, a livello razionale, siamo consapevoli che si tratta di una finzione. Per questo le storie di finzione – un film, un libro, così come una vicenda raccontataci a voce – possono emozionarci, commuoverci, divertirci anche se non sono vicende reali. Non sempre il loro effetto è positivo, ci avverte Gottschall attraverso due esempi in parallelo: se La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe fece crescere il movimento per l’abolizione della schiavitù negli USA, le vicende narrate nelle opere di Wagner ebbero di sicuro un’influenza notevole sulla formazione ideologica di Hitler.

Le storie di finzione seguono sempre questo schema di base, in tutte le sue variazioni possibili: protagonista / problema da affrontare / soluzione del problema.

Tutti noi abbiamo bisogno di evadere periodicamente dalla realtà per rifugiarci nelle storie di finzione, perché accrescono le nostre competenze, ci fanno prefigurare le conseguenze di azioni o eventi senza farci correre rischi (imparo dal protagonista a superare un problema che potrei dover affrontare personalmente), ci fanno vivere più vite parallele.

In base a queste considerazioni, il capitolo più interessante di L’istinto di narrare è forse quello in cui, contestando tutte le teorie sulla presunta “morte del romanzo”, Gottschall sostiene che l’innato bisogno umano di storie di finzione stia trovando uno sbocco fondamentale nei videogiochi, e soprattutto nei giochi di ruolo.

Cosa c’è di meglio per un impiegato, costretto a stare per tutta la settimana seduto a una scrivania in un anonimo ufficio, nel quale deve svolgere mansioni ripetitive, dell’ accendere il suo computer, a casa, per immedesimarsi nell’audace protagonista di un videogioco ambientato nel Rinascimento, tra complotti, battaglie e dame da conquistare, oppure nel soldato impegnato nei combattimenti della seconda guerra mondiale, provando una gamma sterminata di emozioni ma restandosene sano e salvo davanti allo schermo?

Questo si avverte ancora di più nei giochi di ruolo, dove i partecipanti fanno uso di costumi e raggiungono un livello molto alto di immedesimazione nei personaggi: a chi giudica negativamente questo tipo di passatempi, Gottschall ricorda che non sono molto diversi dalle rappresentazioni teatrali, che fanno parte da millenni di tutte le culture in ogni parte del mondo.

In conclusione,  L’istinto di narrare ci rende consapevoli di molti aspetti ignorati o trascurati del nostro continuo e fondamentale rapporto con lo sterminato mondo della fiction.

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