Jean Rolin: lo spazio narrabile
La metropoli oppone al pieno del suo centro l'insorgere di interstizi, territori ibridi e “impensabili” che stendono le loro braccia a partire dalla periferia. Uno di questi — a Parigi, nel XVIII arrondissement — è racchiuso tra la linea ferroviaria e il terrapieno sotto Boulevard Périphérique e il Boulevard Ney, e comprende nel suo cuore Rue de la Cloture, ovvero del Recinto, che è il titolo del libro scritto da Jean Rolin nel 2002. Siamo in un quadrante parigino che ha per riferimenti immediati, per individuarlo sulla mappa, il Cimetière Parisien de Saint-Ouen sopra e la Goutte d'Or sotto, e per corona intorno Clichy, Saint-Denis e Aubervilliers.
Su questo mondo ristretto ha messo gli occhi Jean Rolin, dunque, trascorrendovi ore e giorni in osservazione, esplorazione, in lento ma costante avvicinamento ad alcuni suoi “abitanti”, alcuni dei quali vivono negli interstizi degli interstizi, ovvero dentro un pilone del Boulevard Périphérique. Uno di loro, Gérard Cerbère è anche il protagonista di questo libro, insieme al maresciallo Ney, il cui nome è stato dato dalla municipalità al boulevard che corre parallelo sotto il Périphérique. E due personaggi presagiscono un romanzo, o almeno una narrazione che si approssimi a questa dimensione, anche se uno è esistente sul piano reale e un altro è esistito nel passato. Il recinto può essere letto, infatti, come una narrazione che si muove sul doppio binario di due storie, una che è quella di un uomo che vive ai margini e, allo stesso tempo, di una discesa in profondità, meticolosa, in un pezzo di territorio urbano, l'altra la ricostruzione della vita di un militare dell'esercito francese.
Tutto, però, si tiene dentro un'altra narrazione, quella di un luogo. Forse uno dei più grandi esempi di come si possa riuscire a penetrare in profondità un territorio, un pezzo di un quartiere, un angolo di città, estraendone tutto ciò che sia possibile estrarre: storie, memorie, notizie, accadimenti infra-ordinari o di cronaca, fenomeni sociali, microstoria. È un processo inesorabile di immersione, condotto passo dopo passo da Jean Rolin con una dedizione e una determinazione che è propria dell'esploratore del contemporaneo, che comprende e raccoglie elementi eterogenei:
«Sugli ultimi cento metri di Boulevard Ney, i platani hanno ospitato per molti mesi del 2000 una colonia di storni talmente prolifica e scocciane che uno degli automobilisti il cui veicolo spariva inesorabilmente sotto i loro escrementi ne ha abbattuti diversi a colpi di fucile da caccia, il 25 novembre, prima di essere arrestato da una pattuglia di vigili urbani».
«La porta metallica socchiusa del secondo pilone — quello che sostiene il périphérique esterno e nel quale non abita Gérard — lascia indovinare dei grandi mucchi di oggetti che sono già stati molto usati, e che i comuni mortali stimerebbero impropri a qualsiasi uso: ancora frigoriferi, lavatrici, televisori, porte o portelloni di automobili utilitarie, un gruppo elettrogeno, una scatola del cambio, un divano letto e altri mobili, lampade, piatti, una volpe impagliata».
«L'indomani, il 18 giugno 2000, 185° anniversario della battaglia di Waterloo, mi sistemai di buon ora sulla terrazza del caffè Au Marechal Ney, all'angolo del boulevard e dell'Avenue de Saint-Ouen. (…) Col tempo che fa oggi, mi dicevo, Napoleone avrebbe regolato il suo conto con Wellington con tre colpi di sciabola, poi si sarebbe rivolto verso Blucher e l'avrebbe spedito all'inferno, o almeno fino in Prussia».
Ne Il recinto (traduzione di Tommaso Guerrieri, Barbès Editore, 2009), storia e Storia si sovrappongono di continuo, anzi, attraverso la scrittura/narrazione di Rolin diventano un'unica cosa e, in ogni pagina, rinviano l'una all'altra dinamizzate dentro lo spazio.
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