Italo Calvino e “How I met your mother”. L’avventura di un automobilista per le strade di New York
«Appena uscito dalla città m’accorgo che è buio. Accendo i fari. Sto andando in macchina da A a B, per un’autostrada a tre corsie, di quelle con la corsia di mezzo che serve per i sorpassi nelle due direzioni.»
Stai viaggiando lungo l’autostrada; una mano è sul volante, l’altra penzola, indolente, fuori dal finestrino. Le dita giocano con il vento provocato dalla velocità; lasci che esso ti accarezzi. È sera, una di quelle che danno al cuore un senso di benessere e di sollievo; davanti a te si srotola una lingua grigia che sembra infinita, una strada che ti sta guidando verso una nuova meta. L’orizzonte, che si allontana quanto più ti avvicini, ricorda tanto l’incognita di un’equazione: per risolverla devi viaggiare, vincendo la preoccupazione di non poter conoscere in anticipo il risultato.
«A guidare di notte anche gli occhi devono come staccare un dispositivo che hanno dentro e accenderne un altro, perché non hanno più da sforzarsi a distinguere tra le ombre e i colori attenuati del paesaggio serale la macchiolina delle auto lontane che vengono incontro o che precedono, ma hanno da controllare una specie di lavagna nera che richiede una lettura diversa, più precisa ma semplificata, dato che il buio cancella tutti i particolari del quadro che potrebbero distrarre e mette in evidenza solo gli elementi indispensabili, strisce bianche sull’asfalto, luci gialle dei fari e puntini rossi.»
Anche nella fervida immaginazione dello “scoiattolo della penna”, Italo Calvino, il viaggio, l’autostrada, le automobili che sfrecciano a folle velocità con i loro fari accesi, si trasformano in simboli, vivide immagini che alludono alla complessità della vita e dell’amore. Tra il 1949 e il 1967 Calvino scrisse dei racconti, tra i quali L’avventura di un automobilista, che confluiranno, nel 1970, in quella splendida, toccante raccolta dal titolo Gli amori difficili.
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L’automobilista, protagonista e narratore, non ha un nome, è semplicemente X; questi è innamorato di Y. Entrambi abitano distanti: lui ad A; lei in B. Il viaggio compiuto dall’automobilista è causato da un litigio avuto poco prima con Y: «Ma nelle nostra telefonata quotidiana ci siamo detti cose molto gravi; alla fine, portato dal risentimento, ho detto a Y che volevo rompere la nostra relazione; Y ha risposto che non le importava, e che avrebbe subito telefonato a Z, mio rivale.»
Il viaggio in autostrada non è affatto semplice per X perché la sua mente è martellata da mille dubbi e mille domande; sul suo cammino si impongono tante incognite che devono essere subito risolte.
«[…]; le cifre dei chilometri sui cartelloni e quelle che scattano nel cruscotto sono dati che non mi dicono niente, che non rispondono all’urgenza delle mie domande su cosa Y sta facendo in questo momento, su cosa sta pensando. Intendeva davvero chiamare Z o era solo una minaccia buttata lì, per ripicca?»
Curioso come Italo Calvino rimandi al linguaggio matematico, i personaggi del racconto, ad esempio, hanno per nome incognite tipiche delle equazioni; eppure la chiarezza, la linearità, l’essenzialità tipica della matematica stride forte contro il garbuglio, il disordine, la confusione che agitano la mente di X. Il «guazzabuglio», che tanto spaventava Alessandro Manzoni, terrorizza anche l’automobilista; questo continuo stato di tensione crea una necessità impellente: quella di eliminare tutto ciò che è superfluo, tutto ciò che non è affatto necessario. Un bisogno sentito anche da Italo Calvino. Nel precedente racconto, L’avventura di uno sciatore, scrive: «[…], e questo fosse il miracolo di lei, di scegliere a ogni istante nel caos dei mille movimenti possibili quello e quello solo che era giusto e limpido e lieve e necessario, quel gesto e quello solo, tra mille gesti perduti, che contasse.»
Ridurre tutto all’essenziale; riuscire a trovare l’esatta linea che permetta di dare un ordine e un senso all’infernale labirinto. Il viaggio compiuto da X è un viaggio interiore, spirituale, uno scavo dentro di sé, nella sua coscienza, una riflessione su quanto sia spaventosa la vita perché caotica ed indecifrabile.
«La condizione ideale per escludere ogni dubbio sarebbe che in tutta questa parte del mondo esistessero solo tre automobili: la mia, quella di Y e quella di Z: allora nessun’altra macchina potrebbe procedere nel mio senso se non quella di Z, e la sola macchina diretta in senso opposto sarebbe certamente Y.»
Nel suo viaggio/riflessione X comprende che anche l’amore non è affatto semplice; anche esso è labirintico.
«[…], e le cose che direi, alcune delle quali di sicuro sbagliate o equivocabili, e le cose che lei direbbe, in qualche misura certamente stonate o non quelle comunque che io m’aspetto, e tutto il rotolio di conseguenze imprevedibili che ogni gesto e ogni parola comporta, solleverebbero attorno alle cose che abbiamo da dirci, o meglio che vogliamo sentirci dire, una nuvola di brusio tale che la comunicazione già difficile al telefono risulterebbe ancora più disturbata, soffocata, sepolta come sotto una valanga di sabbia.»
L’amore non è affatto matematico; è imprevedibile; è il contrario di un’equazione. Esso prevede una serie di fattori, imprevedibili anche questi, che, di volta in volta, rendono impossibile determinare in anticipo il risultato che, molto spesso, è ben lontano da quello che avevamo sperato. Tutto ciò che sappiamo della vita e dell’amore è che sono due entità caotiche e labirintiche; esse ammettono infiniti risvolti e innumerevoli soluzioni. Ciò crea un’angoscia, la stessa che agitò il filosofo danese Søren Kierkegaarde, millenni prima, Gesù Cristo.
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Tutto nella mente di X è nebuloso, il suo viaggio/riflessione procede nella più inquietante incertezza. Ecco però, in seguito, farsi strada una sola sicurezza, l’unica che lo rincuora: «M’accorgo che correndo verso Y ciò che più desidero non è trovare Y al termine della mia corsa: voglio che sia Y a correre verso di me, è questa la risposta di cui ho bisogno, cioè ho bisogno che lei sappia che io sto correndo verso di lei ma nello stesso tempo ho bisogno di sapere che lei sta correndo verso di me.» Tutto quello di cui ha bisogno X, mentre nuota in un mare di insicurezze, è sapere che Y sta correndo verso di lui, lungo quella stessa autostrada.
«Y ha una macchina di modello molto comune; come la mia, del resto. Ognuna di queste apparizioni luminose potrebbe essere lei che corre verso di me, a ognuna sento qualcosa che mi si muove nel sangue come per un’intimità destinata a rimanere segreta, il messaggio amoroso diretto esclusivamente a me si confonde con tutti gli altri messaggi che corrono sul filo dell’autostrada, eppure non saprei desiderare da lei un messaggio diverso da questo.»
In quel garbuglio di automobili, che sfrecciano lungo l’autostrada, per X ci deve essere anche Y che sta correndo verso di lui. In quel garbuglio di ombrelli gialli, che passeggiano su e giù per le strade di New York, c’è anche la futura moglie dell’architetto Ted Mosby. Questi è il protagonista della celeberrima sit-com americana How I met your mother, andata in onda per nove stagioni, dal 2005 al 2014. Per X è un’automobile, per Ted è un ombrello giallo: legami, messaggi amorosi, richiami che li attirano ad Y. X lungo l’autostrada, Ted per le strade di New York: entrambi stanno correndo in direzione di Y.
«Ma l’amore non ce l’ha un senso. Insomma, non è la logica che lo fa nascere oppure morire. Anzi, l’amore è totalmente insensato. Ma dobbiamo continuare a viverlo, perché altrimenti saremmo perduti e se l’amore muore all’umanità non resta altro che scomparire. Perché l’amore è la cosa più bella che abbiamo.»
Questo dichiara Ted, durante il matrimonio dei suoi due migliori amici, Robin e Barney: l’amore non è matematico, non è logico e questa assenza di leggi e meccanismi conoscibili spaventa, crea angoscia. La stessa di Italo Calvino e dell’automobilista X.
Eppure anche per Calvino l’amore è necessario, nonostante sia doloroso. Questo scoprirà Amerigo Ormea, lo scrutatore, alla fine della sua esperienza nella Piccola Casa della Divina Provvidenza: «Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore. E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo.»
La vita e l’amore sono imprevedibili, incognite, operazioni che consentono infiniti procedimenti per essere risolte; sono un viaggio fatto da soli, senza l’aiuto di un navigatore; un pellegrinaggio con infinite deviazioni, ingarbugliati nodi stradali che sboccano nei posti più disparati. La destinazione è un’incognita, per essere svelata bisogna solo “viaggiare”: non esistono altre soluzioni se non gettarsi a capofitto nel labirinto.
«Tutte le macchine che sorpasso potrebbero essere Y, oppure tutte le macchine che mi sorpassano.»
Sfiorarsi, passarsi accanto, viaggiare sulla stessa autostrada, condividere una stessa destinazione: ecco il secondo aspetto che mi affascina del racconto e che lo accomuna all’odissea vissuta da Ted Mosby. L’automobilista X scruta, osserva tutte le vetture sapendo che Y è lì, sta viaggiando per raggiungerlo, forse le loro automobili si sono anche sfiorate. Ted vaga per le strade di New York, lo stesso fa anche Y, che sta viaggiando verso di lui; si sfioreranno tante volte, ad esempio in una discoteca durante la festa di San Patrizio e nell’aula di un college.
«Ciao, sono Ted Mosby, e tra quarantacinque giorni esatti noi c'incontreremo. E c'innamoreremo. Poi ci sposeremo e avremo due bambini. Ci ameremo molto, per tutta la vita. Però fra quarantacinque giorni. Se ora sono qui è solo perché voglio... voglio questi quarantacinque giorni, io voglio viverli tutti con te. O mi prenderò questi quarantacinque secondi prima che arrivi il tuo fidanzato a darmi un cazzotto, perché io... io ti amo, e lo farò per sempre. Fino alla fine dei giorni e oltre. Vedrai!»
Per Italo Calvino e Ted Mosby è necessario aggrapparsi a un’unica certezza, anche se questa potrebbe rivelarsi una semplice illusione e niente di più: che il viaggio ha una destinazione, anche se ancora non la conosciamo; che, forse, nonostante il guazzabuglio dovuto alle varie deviazioni che ci presenta l’autostrada, alla fine potremo arrivare ad A o B o in una qualsiasi altra destinazione riservata per noi. È confortante sapere che c’è chi sta correndo verso di noi per farci compagnia nel viaggio. Anche Y però rimane un’incognita da svelare. E se invece fosse Y la destinazione di X e Ted Mosby? E se fossero X e Ted Mosby la destinazione di Y?
«Certo mi sono messo al volante per arrivare da lei al più presto; ma più vado avanti più mi rendo conto che il momento dell’arrivo non è il vero fine della mia corsa.»
Forse alla fine c’è un ordine, una linea, quella sola, necessaria, nascosta nel garbuglio di automobili e di ombrelli gialli; forse l’universo si muove seguendo dei meccanismi che a noi non è dato comprendere.
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Ti fermi durante il viaggio, per sgranchirti un po’. Nella tua testa ci sono tanti dubbi e preoccupazioni, vorresti rinunciare per limitarti a essere un semplice spettatore: troppe incognite; è tutto così imprevedibile! Per di più non hai una guida sicura! Guardi l’autostrada, avverti il richiamo dell’orizzonte. Decidi di non farti intimorire dal labirinto; decidi di continuare il viaggio. Pensi, ricordandoti di X e di Ted Mosby, che, nonostante le infinite possibilità, alla fine arriverai alla soluzione di cui hai bisogno.
Pensi, guardando tutte quelle automobili, che ce n’è una che sta correndo verso di te e che ti farà compagnia nella risoluzione dell’equazione. Ti sentirai meno solo. Forse è un’automobile che hai già sfiorato: a scuola, nel posto di lavoro, nel bus che ti accompagna a casa.
Pensi che, anche se nascosta, forse c’è una linea necessaria, giusta, la sola che veramente conti. Anche se potrebbe essere un’illusione ti aggrappi a essa.
Sorridi perché uno scemo ha accostato Italo Calvino a una serie televisiva.
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